Economia Globale: la Nuova Enciclica
di Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera
"Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali". L’ultima revisione di Benedetto XVI è ormai pronta, in queste ore si stanno rivendendo le ultime pagine della "Caritas in veritate", la terza enciclica del Papa "dedicata al vasto tema dell’economia e del lavoro" che porterà la data del 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, e sarà presentata tra il 6 e il 7 luglio. Il Pontefice ha consultato una quantità di esperti, tra economisti e prelati, ma rispetto all’ultima bozza di aprile ha compiuto la stesura definitiva da solo, parola per parola. In Vaticano si dice ne abbia portata una copia con sé pure nel viaggio in Terra Santa, il mese scorso. L’Enciclica, rinviata per tener conto della crisi e "rispondere in base agli elementi reali", richiama la necessità di "una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione approfondita e lungimirante sul modello di sviluppo".
La globalizzazione non è il male ma neppure si regola da sé: se governata con "nuove regole" può diventare un’opportunità. E nel "nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale" che ha "modificato il potere politico degli Stati", il testo suggerisce "una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere", invita i sindacati a "instaurare nuove sinergie a livello internazionale" per affrontare "la riduzione delle reti di sicurezza sociale" e invoca "la presenza di una vera autorità politica mondiale", sulle tracce della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII: non un super-Stato né semplicemente l’Onu, ma un modello internazionale di governo della globalizzazione, un’autorità "che dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune e impegnarsi nella promozione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità della verità". Caritas in veritate, appunto: "Il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa". Benedetto XVI riconduce tutto ai suoi fondamenti teologici e teoretici.
Fin dall’incipit: "La carità della verità, che Gesù Cristo ci ha mostrato con tutta la sua vita terrena e, soprattutto, con la Sua morte e risurrezione, è la principale risorsa a servizio del vero sviluppo di ogni singolo uomo e dell’umanità intera". La crisi, ha osservato il Papa, "è nata da un deficit di etica nelle strutture economiche". Un sistema infettato dalla cupidigia. Ma l’economia "ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento", o è contro l’uomo o lo distrugge. Di qui la necessità di un codice etico comune: fondato sulla "verità ad un tempo della fede e della ragione", una verità che quindi è accessibile a tutti, "la luce attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità". La ricerca della "giustizia" e del "bene comune" derivano da qui. Benedetto XVI parla di "responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, che tenga conto di tutti gli impatti sociali del suo agire". Fermo restando che anzitutto c’è la responsabilità personale: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune".
Tutto si tiene, lotta alla fame e difesa della vita e attenzione allo "stato di salute ecologica del pianeta", visto che "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona": perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo nella sua integrità". Il Papa all’inizio richiama la "Populorum progressio" di Paolo VI, che nel ’67 denunciò la disuguaglianza tra Paesi ricchi e poveri, ma l’Enciclica recepisce anche la Humanae vitae, contro aborto e contraccezione. Così "l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" e "se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono". Del resto sviluppo economico e crescita demografica corrispondono. E una "apertura moralmente responsabile" alla vita rappresenta "una ricchezza sociale ed economica". Detto questo, "la carità nella verità chiede urgenti riforme per affrontare con coraggio e senza indugio i grandi problemi dell’ingiustizia nello sviluppo dei popoli".
Dopo più di quarant’anni dalla "Populorum progressio" lo sviluppo che doveva essere "estensibile a tutti" è stato "e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". La fame, anzitutto: "Dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa". E "alimentazione e accesso all’acqua" sono "diritti universali". E i Paesi poveri devono essere sostenuti e coinvolti nei processi decisionali. La crisi preoccupa, ma "dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro migliore". 'Oikonomia' significa "legge" o "amministrazione" dell’oikos, la casa: "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia".
La globalizzazione non è il male ma neppure si regola da sé: se governata con "nuove regole" può diventare un’opportunità. E nel "nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale" che ha "modificato il potere politico degli Stati", il testo suggerisce "una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere", invita i sindacati a "instaurare nuove sinergie a livello internazionale" per affrontare "la riduzione delle reti di sicurezza sociale" e invoca "la presenza di una vera autorità politica mondiale", sulle tracce della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII: non un super-Stato né semplicemente l’Onu, ma un modello internazionale di governo della globalizzazione, un’autorità "che dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune e impegnarsi nella promozione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità della verità". Caritas in veritate, appunto: "Il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa". Benedetto XVI riconduce tutto ai suoi fondamenti teologici e teoretici.
Fin dall’incipit: "La carità della verità, che Gesù Cristo ci ha mostrato con tutta la sua vita terrena e, soprattutto, con la Sua morte e risurrezione, è la principale risorsa a servizio del vero sviluppo di ogni singolo uomo e dell’umanità intera". La crisi, ha osservato il Papa, "è nata da un deficit di etica nelle strutture economiche". Un sistema infettato dalla cupidigia. Ma l’economia "ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento", o è contro l’uomo o lo distrugge. Di qui la necessità di un codice etico comune: fondato sulla "verità ad un tempo della fede e della ragione", una verità che quindi è accessibile a tutti, "la luce attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità". La ricerca della "giustizia" e del "bene comune" derivano da qui. Benedetto XVI parla di "responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, che tenga conto di tutti gli impatti sociali del suo agire". Fermo restando che anzitutto c’è la responsabilità personale: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune".
Tutto si tiene, lotta alla fame e difesa della vita e attenzione allo "stato di salute ecologica del pianeta", visto che "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona": perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo nella sua integrità". Il Papa all’inizio richiama la "Populorum progressio" di Paolo VI, che nel ’67 denunciò la disuguaglianza tra Paesi ricchi e poveri, ma l’Enciclica recepisce anche la Humanae vitae, contro aborto e contraccezione. Così "l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" e "se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono". Del resto sviluppo economico e crescita demografica corrispondono. E una "apertura moralmente responsabile" alla vita rappresenta "una ricchezza sociale ed economica". Detto questo, "la carità nella verità chiede urgenti riforme per affrontare con coraggio e senza indugio i grandi problemi dell’ingiustizia nello sviluppo dei popoli".
Dopo più di quarant’anni dalla "Populorum progressio" lo sviluppo che doveva essere "estensibile a tutti" è stato "e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". La fame, anzitutto: "Dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa". E "alimentazione e accesso all’acqua" sono "diritti universali". E i Paesi poveri devono essere sostenuti e coinvolti nei processi decisionali. La crisi preoccupa, ma "dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro migliore". 'Oikonomia' significa "legge" o "amministrazione" dell’oikos, la casa: "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia".