mercoledì 9 giugno 2010

Anno Sacerdotale. Mons. Piacenza: nel compito di guida a Cristo del prete ogni omissione un’infedeltà allo Spirito. Riscoprire il dono della profezia

Nel “munus regendi”, cioè nel “compito di guida a Cristo, in obbedienza alla Chiesa”, peculiare del sacerdote, “ogni omissione è un’infedeltà allo Spirito, il quale, prima di ogni altra nostra, anche buona, intuizione, ci chiede di obbedire a ciò che sacramentalmente siamo”. A ribadirlo è stato mons. Mauro Piacenza, segretario della Congregazione del Clero, in una meditazione tenuta ieri nella Basilica di San Giovanni in Laterano, durante l'adorazione eucaristica in occasione della giornata di ritiro promossa dal Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale (Iccrs) e la Fraternità Cattolica (The Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowship) in preparazione all’Incontro internazionale dei Sacerdoti che si aprirà oggi a Roma, a conclusione dell’Anno Sacerdotale indetto dal Papa. “Il rinnovamento – ha spiegato l’esponente vaticano – non è mai una cesura con il passato né un abbandono del meglio della tradizione. L’autentico rinnovamento include sempre l’umile ascolto della storia, il profondo discernimento dei segni dei tempi, mai ideologicamente letti, e domanda costantemente di vivere ed operare nella comunione con la Chiesa e particolarmente con il Papa”. “Senza lo Spirito Santo la Chiesa non sarebbe semplicemente un’istituzione umana, ma semplicemente non esisterebbe”, ha detto mons. Piacenza, secondo il quale “è lo Spirito Santo che ci abilita a ripetere, ogni giorno, le parole del Signore e che conferisce ad esse quella efficacia che, anche indipendentemente dalle nostre risposte, ma non dalla nostra volontà, santifica il mondo”. In una società in cui “si è smarrita in larga misura, a causa della galoppante secolarizzazione, l’idea del sacro e del santo che ha sempre caratterizzato la religiosità popolare e la vita della Chiesa”, il sacerdote è chiamato a riscoprire il “dono della profezia”, in virtù del quale i preti “mai parlano a titolo personale, ma sempre a nome della Chiesa”, e il ruolo pastorale di “guida gerarchica delle comunità e delle persone a noi affidate”. “Non si tratta – ha puntualizzato il presule a questo proposito – di una eccellenza umana e morale nei confronti dei fratelli, i quali non di rado sono anche più santi di noi, ma dell’obbedienza ad uno specifico compito, datoci dallo Spirito, ad una vocazione che, laddove non fosse assolta da noi, rimarrebbe incompiuta”. Solo nello Spirito Santo, ha concluso mons. Piacenza, “è possibile un autentico rinnovamento”, perché “ogni altra pretesa” finisce “drammaticamente con il tradire Dio e gli uomini”.