Il tavolo di lavoro è ingombro come non mai: buon segno di attività in corso. Il telefono squilla, ma bisogna prima indovinare la direzione del suono e scavare tra le carte – libri, giornali, posta, ritagli – per trovare l’apparecchio e poi la penna per prendere nota del prossimo appuntamento in questa casa che, più che a una dimora, lascia pensare a una galleria di ricordi dei tanti viaggi per il mondo. La valigia, ora, è in un angolo, ma a 88 anni il cardinale delle"missioni impossibili", il francese basco Roger Etchegaray, non la perde d’occhio. Chissà... Anche i cardinali hanno i sogni nel cassetto; e quello di Etchegaray si chiama Cina. Guardare avanti è un dono che non invecchia, tanto più se a scandire il tempo è il calendario sempre aggiornato sulla vita della Chiesa: mai tanto intenso come in quest’inizio di Settimana Santa che segna anche la ricorrenza dei sei anni di pontificato di Benedetto XVI, successore di Giovanni Paolo II, che il 1° maggio sarà proclamato Beato. "Ecco: bisogna partire da questo provvidenziale intreccio per inquadrare al meglio anche questi primi sei anni di pontificato. Perché il primo a essere beato di questa Beatificazione sarà proprio Papa Benedetto, il suo immediato successore sulla Cattedra di Pietro e, da cardinale, uno dei più stretti e immediati collaboratori del Papa 'venuto da lontano'". Quando parla del Papa, Etchegaray non sembra più un cardinale di lungo (e onoratissimo) corso che ha girato il mondo in lungo e in largo sulle rotte di tutte le crisi. Quello che mostra è un candore che non solo sorprende ma disarma, dal momento che, per risalire al tempo del primo incontro con Joseph Ratzinger, occorre mettere in campo il Concilio, dove si trovarono di fronte due giovani consultori con un futuro davanti. Vennero poi i tempi dell’Europa, Etchegaray primo presidente dei vescovi continentali e l’allora arcivescovo di Monaco tra i primissimi interlocutori sui grandi temi del vecchio continente. Eppure, il lungo tratto del cammino comune è diventato, da sei anni a questa parte, solo un privilegio in più; e più degli altri da tenere al riparo, come avvolto in una forma di delicatissima discrezione. È stato Papa Benedetto, appena eletto, a ricordargli che un suo amico, Georg Thurmayer, era rimasto ospite per molto tempo, durante l’occupazione nazista a Espelette, nella stanza in cui Etchegaray è nato. E quando Benedetto XVI è andato a trovarlo al "Gemelli", dopo la caduta della Notte di Natale a San Pietro, il cardinale ha fatto dono a un ristrettissimo gruppo di amici delle foto con il Papa: quel gesto gli è rimasto nel cuore. "Di Papa Benedetto si ha talvolta la sensazione di conoscere tutto, a partire della sua enorme e densa produzione teologica. Ma a dire il vero si comincia appena a scoprirlo, o piuttosto a scoprire cos’è un Papa nell’esercizio della sua funzione pastorale, nel senso che è un pastore che guida il suo gregge soprattutto nelle tempeste. Eletto Papa, Benedetto è diventato parroco; la Chiesa ha scoperto un pastore e non solo un teologo, e il mondo un suo irrinunciabile punto di riferimento". Parroco? "Sì, proprio così. Non ha forse esordito definendosi un 'operaio nella vigna del Signore'? La sua omelia nella Domenica delle Palme è stata, in questo senso, esemplare: ha parlato dell’umiltà di Dio, che ha scelto la via della Croce per manifestare in forma estrema il suo amore. Il Pontificato di Papa Benedetto va per queste strade. Del resto, ciò che si era già profilato nella prima Enciclica, 'Deus Caritas est', ora a distanza di sei anni ha preso consistenza e si è fatto ossatura; ha come chiarito e svelato la forza d’animo del Papa. Benedetto XVI, in sostanza, ha posto serenamente ma fermamente le distanze tra la Chiesa e le sovrastrutture delle ideologie e di una visione semplicemente geopolitica. Ha puntato all’essenziale e ha portato tutta la Chiesa a riflettere, nel solco della strada maestra di Cristo, sulle grandi questioni che scuotono il mondo: l’integrazione di tutti, e in particolare di giovani in una società sempre più segnata dal multiculturalismo; la difesa dell’istituto coniugale e familiare, anche di fronte ai valori della bioetica; la crescente responsabilità dei paesi ricchi verso i paesi poveri". Anche Etchegaray, dopo una vita che lo ha portato in capo al mondo, si ritrova oggi a centrare il tiro su quelli che possono essere definiti i suoi tre grandi interessi: la Cina, l’Ortodossia (soprattutto russa) e l’Ebraismo. Sono i temi che ancora oggi riescono ad allungare il suo sguardo in avanti. Ma l’orizzonte prossimo, i sei anni di Pontificato di Papa Benedetto e la Beatificazione di Giovanni Paolo II, lo chiama in causa da molti fronti: "Qualcuno insiste ancora a fare un raffronto tra i due Papi; un’operazione del tutto fuori luogo. Ciascuno ha la sua personalità e la sua particolare cultura, ma entrambi portano la stessa tradizione e la stessa continuità ecclesiale, valori che vanno ben oltre l’essere concreto di ciascuno. Nella conversazione con Peter Seewald, c’è un passaggio fondamentale: 'Il Papa vuole oggi che la sua Chiesa si sottometta ad una purificazione fondamentale…Si tratta di far vedere Dio agli uomini, di dire loro la verità. La verità sui misteri della Creazione. La verità sull’esistenza umana. E la verità sulla nostra speranza, al di là della sola nostra vita terrena'". "Tutto – prosegue Etchegaray – potrebbe sintetizzarsi in questo pensiero: 'Il cristianesimo è in perenne stato di nuovo inizio'. È questa stessa audacia della fede che noi raccoglieremo il primo maggio dalla vita del suo predecessore Giovanni Paolo II. E dallo stesso Papa Benedetto che, nel sesto anniversario del pontificato, continuerà, a suo modo, il dialogo con Papa Wojtyla: un dialogo sulla trama della santità".
Angelo Scelzo, Avvenire