sabato 11 giugno 2011

Le testimonianze di rom e zingari al Papa: un futuro di pace e serenità, in cui i bambini crescano e vivano senza discriminazioni. Mai più Auschwitz

Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Zingari, Yenish, Romanichals e Travellers: da tutto il mondo oggi, in 2000, si sono dati appuntamento in Vaticano, per essere ricevuti in udienza da Benedetto XVI, il terzo Papa nella storia che ha voluto incontrarli, proprio nel giorno in cui ricordano il 75° anniversario del martirio del gitano Zefirino Giménez Malla, che tutti affettuosamente chiamano “El Pelé”, il primo Beato zingaro della storia. Musica, colori e danze su ritmi gitani si sono alternati a momenti di commozione autentica suscitata dalle testimonianze di alcuni zingari che hanno raccontato al Santo Padre il loro mondo, fatto di libertà, ma spesso anche di difficoltà e diffidenza da parte degli altri, di esperienze drammatiche racchiuse nel loro passato, ma anche di speranza nel futuro. Una realtà insieme vicina e lontana, quella degli zingari, circa 36 milioni in tutto il mondo, 170mila in Italia, come Carlo Mikic, uno studente romano di 18 anni di etnia Rom Rudari nato e cresciuto in un campo a Roma: “Quando sei un bambino che vive in un campo, a scuola non sei considerato come tutti gli altri. Quando cresci e cerchi un lavoro e nei documenti vedono nell’indirizzo ‘campo nomadi’, ti dicono no grazie. Lo so che ci sono dei rom che sbagliano, che si comportano male, ma la responsabilità è sempre personale e la colpa non è mai di un’etnia o di un popolo. Quando penso al futuro, penso a città e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura”. Non sono mancate testimonianze drammatiche, come quella di Ceija Stojka (foto), sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. ''Quando sono nata in Austria la mia famiglia contava più di 200 persone - ha raccontato di fronte al Pontefice -. Solo sei di noi sono sopravvissuti alla guerra e allo sterminio. Quando avevo 9 anni fui deportata con la mia famiglia prima ad Auschwitz, poi a Ravensbruk e a Bergen-Belsen''. ''Ero bambina - ha proseguito - e dovevo vedere morire altri bambini, anziani, donne, uomini; e vivevo fra i morti e i quasi morti nei campi''. ''Mi chiedevo 'perchè?' - ha raccontato -. Che cosa abbiamo fatto di male? Sento gli strilli delle SS, vedo le donne bionde le 'Aufseherinnen' (sorveglianti) con i loro cani grandi che ci calpestavano, sento ancora l'odore dei corpi bruciati. Come posso vivere con questi ricordi? Come posso dimenticare quello che abbiamo vissuto?''. “Io desidero una cosa: che gli zingari siano accolti con maggiore attenzione e con occhi vigili, che siano trattati con maggiore rispetto...mai più Auschwitz, che non accada più questa cosa orribile, bruttissima, quelle uccisioni...Potrebbe accadere di nuovo! Auschwitz: tutto lì è rimasto com’era; ci sono anche gli uomini, che sono rimasti com’erano. Noi siamo i fiori di questo mondo e siamo calpestati, maltrattati e uccisi”. “Colui che fa del bene è protetto da Dio”: con questo augurio tradizionale Sinti una giovane mamma ha ringraziato il Papa per la sua accoglienza e ha espresso un desiderio per il futuro dei suoi figli, che possano vivere una vita buona, essere semplici e miti proprio sull’esempio del Beato Zefirino.
È un messaggio di speranza, quello di Pamela Suffer: “Vorrei per i miei figli e per tutti i bambini Rom e Sinti un futuro di pace e serenità, in cui possano crescere e vivere insieme agli altri bambini d’Europa e del mondo senza essere esclusi e discriminati. Sinceramente davanti al Signore Gesù non mi sono mai sentita diversa, estranea. Io so che l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore e Lei, oggi ce lo dimostra”. Atanazia Holubova è una suora zingara che viene dalla Slovacchia. Quando era adolescente conobbe un sacerdote e un gruppo di giovani cristiani, che iniziò a frequentare di nascosto dal regime. Oggi si occupa di Pastorale tra i Rom, la sua gente, e parla della sua vocazione con umiltà e gratitudine verso il Signore e verso quelle persone che per prime hanno portato nella sua vita la Parola di Gesù: “A loro non importava che fossi gitana. Partecipavamo alla Messa insieme ogni giorno e incontravamo religiose: fu allora che capii che il Signore mi chiamava a servirlo diventando una suora. Capii che mi chiamava ad aiutare i gitani a trovare la via che li conduce a Lui e a trovare, così, la gioia vera. Spero che il Vangelo e l’amore di Gesù raggiungano presto molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle gitane che non lo conoscono ancora e che noi possiamo essere fedeli e ardenti testimoni di ciò che abbiamo visto e ricevuto dalla Madre Chiesa”.

Radio Vaticana, Asca

Testimonianza di Ceija Stojka

Testimonianza di suor Atanazia Hobulova

Testimonianza di Carlo Mikic

Testimonianza di Pamela Suffer