Il Vangelo della liturgia di oggi propone uno spunto di riflessione molte volte affrontato da Benedetto XVI nelle sue meditazioni: quello dell’attesa di Cristo e della “veglia” con la quale l’uomo è chiamato ad aspettarlo. “Vegliate – si legge nel brano evangelico di Matteo – perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà...Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. C’è un momento altamente drammatico nel Vangelo, leggendo il quale è difficile trattenere, anche nutrendo una benevola disposizione di fede, un moto di riprovazione: è quando Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli “fidati”, quelli più vicini a Gesù, si addormentano nel Getsemani a pochi metri dal Maestro, attanagliato da un’indicibile angoscia. Ci si attenderebbe in quel caso la manifestazione della più stretta e affettuosa solidarietà da parte degli amici più vicini. E invece disturba e stride con l’istintivo sentimento della pietà quell’immagine di umana debolezza, la visione di quelle palpebre tanto pesanti da non riuscire “a vegliare neppure un’ora” con l’amico e Maestro che sta presagendo l’orrore di uno strazio terribile. Quel sonno che si dimentica di Cristo simboleggia bene il rischio che corre chi pure a Lui ha donato la vita. Un oblio involontario eppure insidioso, che richiede un atto di volontà uguale e contrario: rimanere svegli. Non solo, come per i discepoli di duemila anni fa, per non abbandonare Gesù che sta terminando la vita sulla terra. Ma soprattutto per non mancare all’appuntamento con il suo nuovo ritorno, che non ha né data né ora: “Vegliate!, dice Gesù, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà. La breve parabola del padrone partito per un viaggio e dei servi incaricati di farne le veci pone in evidenza quanto sia importante essere pronti ad accogliere il Signore quando, all’improvviso, arriverà” (Angelus, 27 novembre 2005).
La veglia intesa come attenzione dell’anima alle cose della fede è tipicamente cristiana. E non è che essa vieti il sonno. La parabola delle Vergini sapienti dimostra che ci si può tranquillamente addormentare senza per questo annaspare impreparati al risveglio. La questione è un’altra, riguarda l’impegno che questo tipo di “veglia” richiede. Ciò rende il tema uno dei meno “addomesticabili”, perché mette il cristiano – anche quello che vorrebbe non pensarci – davanti alla serietà di un inevitabile momento: “'Vegliate!' E’ rivolto ai discepoli, ma anche ‘a tutti’, perché ciascuno, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza" (Angelus, 30 novembre 2008).
Ogni singola Santa e ogni singolo Santo sono esempi di una vita trascorsa vegliando, per cui la soglia di attenzione della fede di queste grandi anime ha permesso alla fantasia della carità di trovare mille strade per amare Dio e l’umanità che avevano accanto. Il loro essere desti, attenti al loro Maestro, riporta allora al Getsemani, a quella lotta fra oblio e veglia che coinvolge ogni battezzato.
“Ancora oggi il Signore dice a noi: ‘Restate e vegliate con me e vediamo come anche noi, i discepoli, dormiamo spesso’. Sentiamo in questo giorno la Parola del Signore: ‘Restate e vegliate con me’” (Udienza generale, 12 aprile 2006).
Radio Vaticana