domenica 4 settembre 2011

Il Papa: ciascun cristiano, consapevole dei propri limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con essa

A mezzogiorno il Santo Padre Benedetto XVI ha recitato l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. “La carità fraterna nella comunità dei credenti” ha “la sua sorgente nella comunione della Trinità. L’apostolo Paolo - ha affermato il Papa - afferma che tutta la Legge di Dio trova la sua pienezza nell’amore, così che, nei nostri rapporti con gli altri, i dieci comandamenti e ogni altro precetto si riassumono in questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’”. Il testo del Vangelo, tratto dal capitolo 18° di Matteo, dedicato alla vita della comunità cristiana, poi, “ci dice che l’amore fraterno comporta anche un senso di responsabilità reciproca, per cui, se il mio fratello commette una colpa contro di me, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono”. “Questo modo di agire – ha sottolineato il Pontefice - si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all’offesa subita, ma è mossa dall’amore per il fratello”. Il Santo Padre ha ricordato un commento di Sant’Agostino a questo proposito: “Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? Tu devi dimenticare l’offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello”. “E se il fratello non mi ascolta?”. A questa domanda Benedetto XVI ha risposto ricordando che “Gesù nel Vangelo odierno indica una gradualità: prima tornare a parlargli con altre due o tre persone, per aiutarlo meglio a rendersi conto di quello che ha fatto; se, malgrado questo, egli respinge ancora l’osservazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire il distacco che lui stesso ha provocato, separandosi dalla comunione della Chiesa”. Tutto questo “indica che c’è una corresponsabilità nel cammino della vita cristiana: ciascuno, consapevole dei propri limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con questo particolare servizio”. “Un altro frutto della carità nella comunità – ha proseguito il Papa - è la preghiera concorde. Dice Gesù: ‘Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’”. “La preghiera personale – ha evidenziato il Pontefice - è certamente importante, anzi, indispensabile, ma il Signore assicura la sua presenza alla comunità che – pur se molto piccola – è unita e unanime, perché essa riflette la realtà stessa di Dio Uno e Trino, perfetta comunione d’amore”. Secondo Origene “dobbiamo esercitarci in questa sinfonia”, cioè, ha chiarito il Santo Padre, “in questa concordia all’interno della comunità cristiana”. Allora, “dobbiamo esercitarci sia nella correzione fraterna, che richiede molta umiltà e semplicità di cuore, sia nella preghiera, perché salga a Dio da una comunità veramente unita in Cristo”. “Domandiamo tutto questo – ha dichiarato - per intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa, e di San Gregorio Magno, Papa e dottore, che ieri abbiamo ricordato nella liturgia”.
Dopo la recita della preghiera mariana, salutando i pellegrini italiani, si è rivolto in particolare al folto gruppo delle Acli, al termine dell’Incontro di studio sul tema del lavoro, a 30 anni dall’Enciclica “Laborem exercens” del Beato Papa Giovanni Paolo II. “Ho apprezzato, cari amici – ha sostenuto -, la vostra attenzione a questo documento, che rimane come una delle pietre miliari della dottrina sociale della Chiesa”. In conclusione ha augurato a tutti “una buona domenica e una buona settimana”.


SIR

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS