domenica 9 settembre 2012

La figura del card. Alojzije Stepinac e il Patriarcato russo dietro il 'no' a Benedetto XVI in Serbia in occasione i 1700 anni dell'Editto di Milano

Dietro il recente rifiuto opposto al viaggio di Benedetto XVI in Serbia ferve una realtà molto complessa. Già da molti mesi, infatti, il Santo Sinodo di Belgrado aveva escluso con fermezza la possibilità di invitare il Papa alle celebrazioni che si terranno il prossimo anno a Nis, in memoria dei 1700 anni trascorsi dalla promulgazione dell’editto di Milano. Il pomo della discordia è l’annunciata preghiera che il Pontefice ha fatto nel giugno 2011 sulla tomba del card. Alojzije Stepinac (1898-1960), considerato dai serbi un collaborazionista del regime degli ustascia. “Il Papa - ha commentato un anonimo esponente del Santo Sinodo serbo - avrebbe potuto ricevere l’invito se avesse visitato l’ex campo di concentramento di Jasenovac, onorando i circa 700mila serbi e i quasi 100mila ebrei e rom uccisi”. A spiegare il “nodo Stepinac” è invece Nikola Knezevic, presidente del Centro per gli studi religiosi interdisciplinari di Novi Sad: “Gran parte degli storici serbi vede Stepinac come un collaborazionista degli ustascia, non un difensore di ebrei e serbi come viene descritto dagli omologhi croati. Pio XII e la Chiesa croata non si sono mai ufficialmente opposti al regime nazista durante la guerra. Stepinac era informato sulle atrocità compiute a Jasenovac e fece poco per fermarle. La Chiesa Cattolica non ha mai chiesto scusa per Jasenovac, mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno visitato la tomba di Stepinac”. Del resto, lo scorso luglio il éatriarca serbo Irinej aveva già confermato il 'niet' sul viaggio del Papa in un’intervista all’agenzia di stampa Tanjug. Ciò che il primate serbo ha rivelato riguarda un certo ruolo giocato dal Patriarcato moscovita, nonostante le dichiarazioni siano state smentite proprio il mese scorso: nell’intervista, Irinej ha dichiarato che la Chiesa russa avrebbe “problemi con il Vaticano a causa del proselitismo” dei cattolici; tanto che, ha dichiarato Irinej, “il Patriarca russo ha detto che sarebbe potuto anche non venire a Nis se il Papa fosse stato presente. La nostra Chiesa ha così deciso di invitare i capi di tutte le Chiese ortodosse e di chiedere alle altre Chiese di inviare delegazioni al più alto livello”. Anche Irinej, però, non ha mancato di citare il “nodo Stepinac”: secondo il Patriarca serbo, infatti, la Beatificazione del cardinale croato “è stata percepita come un segnale negativo nelle relazioni interreligiose e molti in Serbia pensano che sarebbe necessario che la Chiesa Cattolica esprimesse cordoglio per le vittime serbe in Croazia e in altre regioni oppresse dal regime ustascia”. Irinej ha inoltre aggiunto che: “Malgrado ciò, bisogna tenere a mente che i rapporti tra Chiesa serbo-ortodossa e cattolica non si possono ridurre alle relazioni serbo-croate. E neppure a quelle tra cattolici e ortodossi in Serbia e Croazia”. Del resto, non si può omettere che, al di là delle dichiarazioni ufficiali e della gerarchia, come in tutti i paesi balcanici, nelle realtà ecclesiali serbe è presente un radicato tradizionalismo nel modo in cui intendere i rapporti con la Chiesa di Roma. Proprio la Serbia, infatti, è la terra di uno dei maggiori teologi ortodossi del XX secolo, l’archimandrita Justin Popovic (1894-1979), glorificato nel 2010 e il cui pensiero è integralmente una teologia della “resistenza” ortodossa tanto contro le politiche ecumenistiche quanto contro lo stesso nazionalismo serbo. Allievo di Popovic è stato il vescovo kosovaro Artemije, deposto due anni fa da Belgrado a causa delle sue posizioni anti-ecumenistiche e per le dichiarazioni critiche nei confronti delle potenze occidentali. Non è stato facile, però, destituire l’anziano e storico padre spirituale di una regione martoriata: il vescovo Artemije ha raccolto fedeli e monasteri e si è aggiunto all’ortodossia della resistenza. Proprio dello scorso mese è un documento ufficiale del Sinodo greco in resistenza di Oropos e Philì che avanza un’eventualità d’intesa con il vescovo di Raska-Prizren. Si tratta dello stesso Sinodo greco che ha accolto sotto la sua giurisdizione, negli USA e in Australia, alcune parrocchie serbe in disaccordo con le politiche di Belgrado. Lo storico viaggio di un Papa in Serbia dovrà dunque attendere e, forse, non si tratterà di pochi anni.

Raffaele Guerra, Vatican Insider