lunedì 1 ottobre 2012

Sullo sfondo del furto di documenti vaticani la lotta tra la vecchia e la nuova guardia dei collaboratori del Papa. Mons. Clemens: dopo tante fantasie adesso si torna alla normalità delle cose vere

La strana gioia di essere "espunto" dalle carte processuali. "Dopo tante fantasie adesso si torna alla normalità delle cose vere", commenta seraficamente mons. Josef Clemens (nella foto con l'allora card. Ratzinger) coi fedelissimi. Il tribunale che processa il "corvo" ha fatto giustizia delle ombre "infondate" che incombevano su di lui spingendo fuori dall’aula la pesante ipotesi di un suo coinvolgimento in fratricide lotte di potere dentro l’appartamento papale. Nell’austero Palazzo del Sant’Uffizio abita il prelato su cui maggiormente si sono indirizzate voci e sospetti nello scandalo Vatileaks: il vescovo Josef Clemens, storico segretario di Joseph Ratzinger e oggi "numero due" del Pontificio Consiglio dei Laici. "Ora devo approfondire e leggere le carte, ma di certo è una buona notizia di cui essere lieti", ha osservato a caldo mons. Clemens con chi gli ha manifestato la propria vicinanza a pochi istanti dalla conclusione dell’udienza. La sua posizione era riservatamente al vaglio delle indagini dalla fine di maggio, pur con estrema prudenza e con tutte le cautele dovute ad un presule influente e stimato in Curia. Adesso l’ex braccio destro di Papa Ratzinger, dopo mesi di tensione, può tirare un sospiro di sollievo. Anche se le indagini proseguono, è certo che per ora lui in aula non dovrà mettere piede. Nella prima udienza per il furto di documenti segreti, infatti, il tribunale ha clamorosamente escluso dagli atti del processo l’articolo di Die Welt che ipotizzava un coinvolgimento di Clemens, oltreché del card. Paolo Sardi e dell’ex governante Ingrid Stampa, alla quale nel frattempo è stata ritirata la chiave dell’ascensore privato che porta direttamente in Appartamento ma non la supervisione sulle bozze del nuovo libro di Joseph Ratzinger. La decisione di tenerli fuori dal procedimento è stata presa dal presidente del collegio giudicante Giuseppe Dalla Torre su richiesta dell’avvocato di Gabriele. L’articolo era firmato dal vaticanista tedesco Paul Badde, ritenuto vicino a don Georg Gaenswein, che è stato invece chiamato a deporre. Lo scenario di un conflitto con Gaenswein all’origine della fuga di documenti era per Clemens motivo di angoscia. "Le cose non stanno affatto così", assicura Clemens ai suoi interlocutori poco dopo la decisione del tribunale a lui favorevole. A suo giudizio alimentare questi scenari infondati da spy story non è serio e fa il male della Chiesa e di un «grande Papa". Assicura di essere sempre stato tranquillo nella coscienza, ma ora vuole leggere tutto e capire come possa essere stato fatto il suo nome in circostanze che lo vedono «totalmente estraneo». Insomma, ora è per lui motivo di "rasserenamento e soddisfazione" che i giudici abbiano ritenuto non pertinente con il procedimento giudiziario in corso quella versione giornalistica dei fatti. Con Wojtyla l’Appartamento era campo della battaglia infinita tra il segretario don Stanislao Dziwisz e Wanda Poltawska, amica del cuore del Pontefice. Con Benedetto XVI gli scontri che fanno da sfondo allo scandalo Vatileaks sono apparsi tra la vecchia e la nuova guardia dei più stretti collaboratori papali: da un lato Clemens e Igrid Stampa, dall’altro l’attuale segretario Georg Gaenswein che sarà sentito come testimone nel processo al maggiordomo infedele Paolo Gabriele. Nel cambio di Pontificato, apparentemente, si è passati dalle "faide" polacche a quelle tedesche. Il maggiordomo resta l’unico imputato in un processo su cui il mondo ha gli occhi puntati. Ciò non basta, però, a fugare nell’opinione pubblica l’inquietante impressione di un Pontefice che, nella sua azione di «purificazione» della Chiesa, abbia trovato proprio nella cerchia dei "familiari" le principali occasioni di sofferenza e di ostacolo. Anche tra i suoi connazionali.

Giacomo Galeazzi, Vatican Insider