Dialogo “politico” con tutti, ma non con chi vuole imporre la legge islamica e che non può essere chiamato con altro nome che “terrorista”: una linea che il presidente del Benin e dell'Unione Africa, Thomas Boni Yayi (foto), ha spiegato lunedì mattina a Papa Benedetto XVI durante il loro colloquio di venti minuti in Vaticano, e che ha ripetuto nel tardo pomeriggio dell'altro ieri durante un incontro con i giornalisti alla Pontificia Università Laterarnense
A un anno dal viaggio di Papa Benedetto XVI in Benin, per consegnare l'Esortazione Apostolica post-sinodale "Africae munus", l'impressione nel Paese africano è ancora forte. “Il Benin è un piccolo Paese che è diventato più grande grazie alla visita del Papa”, ha detto Boni Yayi raccontando della visita: “Sono venuto a ringraziarlo e a dirgli la gratitudine del popolo del Benin, e di tutto il Continente africano. Siamo stati onorati del suo passaggio perché ci ha lasciato un messaggio forte”.
Soprattutto, a lasciare il segno è stata la volontà del pontefice di “associare al nostro Continente la parola 'speranza'”, contro al “pessimismo” che normalmente accompagna ogni storia sull'Africa. Ma durante il loro colloquio, ha spiegato ancora il leader beninese, Papa Ratzinger ha voluto anche mettere l'accento sulla necessità di ripensare al modo in cui il Continente è africano è amministrato. “Penso che abbia assolutamente ragione – ha commentato Boni Yayi –. Tutti devono fare un passo in quella direzione, mettendo da parte proprio interesse e continente cambierà”.
Oltre che alla “crescita inclusiva” dell'Africa, uno dei temi centrali del colloquio è stata anche la situazione in Mali. Dallo scorso marzo, il Paese è diviso a metà, con il nord e la storica città di Timbuctu nelle mani di un gruppo di milizie jihadiste, alcune esplicitamente legate ad al Qaeda, che vogliono creare uno Stato islamico, mentre il sud con la capitale Bamako è governato da una giunta militare che ha rimpiazzato un governo civile considerato troppo debole nei confronti della rivolta.
“Il Papa ha continuato a insistere sul dialogo delle religioni e io gli ho confidato la mia preoccupazione, perché in realtà ci sono alcuni che rifiutano il dialogo interreligioso e sostengono che tutti devono avere la stessa fede”, ha raccontato Boni Yayi. “In qualità di presidente dell'Unione Africana – ha aggiunto –, gli ho spiegato che siamo pronti di mantenere il dialogo con coloro che accettano di prendere le distanze da questi terroristi, e che siamo pronti ad avere un dialogo politico che con chi ha rivendicazioni di tipo politico”. Il riferimento è al gruppo separatista Tuareg Mnla (Movimento di liberazione nazionale di Azawad), che aveva guidato la rivolta nel nord del Mali prima di essere soppiantato dai gruppi islamisti: “Siamo pronti a continuare dialogo con quelli che non vogliono la sharia” nel rispetto del principio della “unità indissolubile” del Paese.
Ma per il presidente del Benin, di fronte alla minaccia terrorista di uno Stato che sostiene apertamente l'imposizione della sharia, la comunità internazionale non può rimanere indifferente. L'Ecowas (la Comunità degli Stati dell'Africa occidentale), l'Unione Africana e l'Onu sono al lavoro in vista di una risoluzione che autorizzi un intervento nell'area. “Sarà questioni di giorni o forse di mesi, ma il principio è lo stesso: non siamo pronti ad accettare il terrorismo nel cuore dell'Africa occidentale”, ha spiegato Boni Yayi.
Alessandro Speciale, Vatican Insider
Alessandro Speciale, Vatican Insider