di Andrea Tornielli
E’ un testo articolato, bello, umile e allo stesso tempo forte: il Papa vuole fare chiarezza circa le polemiche sollevate dalla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e dal caso Williamson, e interviene sulle critiche divampate anche e soprattutto dentro la Chiesa. Lo fa con una lettera inviata a tutti i vescovi cattolici, ricordando che il caso “ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata“. Benedetto XVI ricorda la “valanga di proteste” e l’accusa a lui rivolta di voler tornare indietro rispetto al Concilio. “Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come una smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa“. L’invito alla riconciliazione con un gruppo che si era separato, è stato dunque presentato come una volontà di creare nuove fratture fra cristiani ed ebrei. Nelle parole di Papa Ratzinger emerge tutto il dolore che questa strumentalizzazione gli ha provocato, dato che proprio la riconciliazione tra cristiani ed ebrei “fin dall’inizio era stato un obbiettivo del mio personale lavoro teologico“. Benedetto XVI spiega che in futuro la Santa Sede dovrà prestare più attenzione alle notizie diffuse su Internet (le dichiarazioni di Williamson erano circolavano infatti sul Web già prima della pubblicazione della revoca della scomunica) e aggiunge: “Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia“. Il Papa si rammarica poi per il fatto che la stessa revoca della scomunica, “la portata e i limiti del provvedimento” non siano stati “illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione“. E precisa che la scomunica colpisce persone, non istituzioni: la revoca è un atto disciplinare, che rimane ben distinto dall’ambito dottrinale: “Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali” e i suoi ministri, anche se “sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica, non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa“.
Continuando su questo tema, il Pontefice annuncia di voler collegare la commissione Ecclesia Dei, che si occupa dei lefebvriani, con la Congregazione per la dottrina della fede. E a proposito del Concilio dice: “Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta con sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive“.
Benedetto XVI - ed è la parte più commovente della lettera - risponde poi alla domanda critica che molti gli hanno rivolto in queste settimane: la revoca della scomunica era necessaria? Era davvero una priorità? Il Papa risponde che la sua priorità come pastore universale “è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo … in Gesù crocifisso e risorto“. Nel momento in cui Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, bisogna “avere a cuore l’unità dei credenti“, perché la loro discordia e contrapposizione “mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio“. Anche “riconciliazioni piccole e medie” fanno dunque parte delle priorità per la Chiesa. Il “sommesso gesto di una mano tesa” ha invece dato origine a un grande chiasso, trasformandosi così “nel contrario di una riconciliazione“. Ma il Papa spiega come sia invece necessario cercare di reintegrare, prevenire ulteriori radicalizzazioni, impegnarsi per sciogliere irrigidimenti e dar spazio a ciò che vi è di positivo. “Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità” - i lefebvriani - “nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi…117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?“. Benedetto XVI non si nasconde che dalla Fraternità da molto tempo siano venute “molte cose stonate - superbia, saccenteria, unilateralismi ecc. Per amore di verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori“. Ma aggiunge che anche nell’ambiente ecclesiale sono emerse stonature: “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo“.
Benedetto XVI ha dunque revocato la scomunica ai vescovi lefebvriani con lo sguardo del pastore preoccupato per l’unità della Chiesa, che tende la mano e offre misericordia. Quel gesto sommesso non significa ancora piena unità, finché le questioni dottrinali non saranno chiarite. La sciagurata intervista negazionista di Williamson non era conosciuta dal Papa quando ha approvato il decreto: leggere ciò che è avvenuto come un cambiamento di rotta rispetto a quanto stabilito dal Concilio nel rapporto con gli ebrei è stata una strumentalizzazione, alla quale si sono prestati anche cattolici, nonostante il Pontefice ammetta che andava chiarita meglio la portata del provvedimento. La Chiesa non torna indietro rispetto al Vaticano II, ma il Vaticano II non rappresenta una frattura, un nuovo inizio, rispetto alla bimillenaria storia cristiana. C’è da augurarsi che tutti i vescovi, anche e soprattutto coloro che hanno criticato il Papa, leggano bene le parole umili e forti del servo dei servi di Dio e comprendano l’atteggiamento di un padre misericordioso, che cerca di favorire l’unità dei credenti in Cristo, per testimoniarlo in un mondo che ha fatto sparire Dio dal suo orizzonte.
Contrattacco Benedetto: Ecco la lettera con cui B-XVI spiega tutto sui lefebvriani
Con una mossa a sorpresa, umile e allo stesso tempo forte, Benedetto XVI ha deciso di spiegare personalmente all’episcopato cattolico la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani che ha suscitato non poche polemiche. Lo ha fatto con una lettera autografa rivolta a tutti i vescovi del mondo che verrà resa nota presto, forse già domani. Una lettera accorata e ferma in cui il Pontefice spiega il vero significato del suo gesto, ne ribadisce la necessità e l’urgenza inquadrandola nella priorità “suprema e fondamentale” della sua missione di successore di Pietro, non senza ammettere gli errori commessi nella gestione di tutta l’affaire. Una “parola chiarificatrice”, insomma, che ha come obiettivo dichiarato quello di “contribuire in questo modo alla pace nella chiesa”.
Cominciamo dagli “sbagli” riconosciuti. Sono essenzialmente due: la Santa Sede non si è accorta che tramite “Internet” si poteva venire a conoscenza delle dichiarazioni negazioniste di Williamson che invece si sono sovrapposte in modo “imprevedibile” alla remissione della scomunica, provocando un corto circuito mediatico che ha fatto travisare l’intera vicenda. D’ora in poi, è la conclusione, il Vaticano dovrà prestare più attenzione a Internet come fonte di informazioni. Il secondo “sbaglio” nella gestione della vicenda è stato quello di un modo “non sufficientemente chiaro” di illustrare la remissione della scomunica. Benedetto XVI spiega che la revoca della scomunica è personale, riguarda i quattro vescovi, e non implica il riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X che potrà avvenire solo dopo un suo riallineamento dottrinale, con tanto di accettazione del Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi.
A questo proposito il Papa fa un annuncio importante. Siccome la questione è dottrinale, la pontificia Commissione Ecclesia Dei, che segue le pratiche dei lefebvriani che vogliono rientrare pienamente in comunione con Roma, sarà collegata alla Congregazione per la dottrina della fede, in modo tale che per queste pratiche ci sia anche un coinvolgimento dei prefetti delle altre Congregazioni vaticane e dei rappresentanti dell’episcopato mondiale che partecipano al lavoro collegiale dell’ex Sant’Uffizio. Riguardo al Vaticano II Papa Ratzinger è chiaro: i lefebvriani non possono pretendere di “congelare” l’autorità magisteriale della chiesa al 1962, ma d’altra parte coloro che si proclamano “grandi difensori del Concilio” devono comprendere che il Vaticano II porta con sé “l’intera storia dottrinale della chiesa”.
A questo punto il Papa nella sua lettera affronta forse la domanda più delicata: ma era proprio necessaria questa revoca? Era una priorità reale? Su questo punto Benedetto XVI non mostra tentennamenti. Il Pontefice sa bene che una certa pubblicistica era interessata a suggerire che la questione lefebvriana fosse una sua maniacale fissazione personale. Ma il Papa non vuole polemizzare e ribadisce, con assoluta disinvoltura, che fin dagli inizi il suo pontificato ha voluto avere come priorità assoluta quella stabilita da Gesù per il Successore di Pietro, e cioè “rendere Dio presente a questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”, in un mondo in cui “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini”. Questa “priorità suprema” per Benedetto XVI ha come logica conseguenza che si debba “avere a cuore l’unità dei credenti”, e quindi anche l’ecumenismo. E’ alla luce di questa vera priorità che – spiega il Papa – trovano posto anche “le riconciliazioni piccole e medie” come quella in corso d’opera con i lefebvriani.
Un tentativo di riconciliazione che riguarda una realtà – ricorda il Papa – estesa a migliaia di fedeli e soprattutto a 491 sacerdoti: “Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità?”. Benedetto XVI si mostra cosciente che dai lefebvriani si sono sentite “molte cose stonate”, frutto di superbia e fissazioni unilateraliste; ma allo stesso tempo ammette che “qualche stonatura” si è sentita anche dentro la chiesa: “A volte – conclude con una punta di amarezza – si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
Cominciamo dagli “sbagli” riconosciuti. Sono essenzialmente due: la Santa Sede non si è accorta che tramite “Internet” si poteva venire a conoscenza delle dichiarazioni negazioniste di Williamson che invece si sono sovrapposte in modo “imprevedibile” alla remissione della scomunica, provocando un corto circuito mediatico che ha fatto travisare l’intera vicenda. D’ora in poi, è la conclusione, il Vaticano dovrà prestare più attenzione a Internet come fonte di informazioni. Il secondo “sbaglio” nella gestione della vicenda è stato quello di un modo “non sufficientemente chiaro” di illustrare la remissione della scomunica. Benedetto XVI spiega che la revoca della scomunica è personale, riguarda i quattro vescovi, e non implica il riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X che potrà avvenire solo dopo un suo riallineamento dottrinale, con tanto di accettazione del Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi.
A questo proposito il Papa fa un annuncio importante. Siccome la questione è dottrinale, la pontificia Commissione Ecclesia Dei, che segue le pratiche dei lefebvriani che vogliono rientrare pienamente in comunione con Roma, sarà collegata alla Congregazione per la dottrina della fede, in modo tale che per queste pratiche ci sia anche un coinvolgimento dei prefetti delle altre Congregazioni vaticane e dei rappresentanti dell’episcopato mondiale che partecipano al lavoro collegiale dell’ex Sant’Uffizio. Riguardo al Vaticano II Papa Ratzinger è chiaro: i lefebvriani non possono pretendere di “congelare” l’autorità magisteriale della chiesa al 1962, ma d’altra parte coloro che si proclamano “grandi difensori del Concilio” devono comprendere che il Vaticano II porta con sé “l’intera storia dottrinale della chiesa”.
A questo punto il Papa nella sua lettera affronta forse la domanda più delicata: ma era proprio necessaria questa revoca? Era una priorità reale? Su questo punto Benedetto XVI non mostra tentennamenti. Il Pontefice sa bene che una certa pubblicistica era interessata a suggerire che la questione lefebvriana fosse una sua maniacale fissazione personale. Ma il Papa non vuole polemizzare e ribadisce, con assoluta disinvoltura, che fin dagli inizi il suo pontificato ha voluto avere come priorità assoluta quella stabilita da Gesù per il Successore di Pietro, e cioè “rendere Dio presente a questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”, in un mondo in cui “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini”. Questa “priorità suprema” per Benedetto XVI ha come logica conseguenza che si debba “avere a cuore l’unità dei credenti”, e quindi anche l’ecumenismo. E’ alla luce di questa vera priorità che – spiega il Papa – trovano posto anche “le riconciliazioni piccole e medie” come quella in corso d’opera con i lefebvriani.
Un tentativo di riconciliazione che riguarda una realtà – ricorda il Papa – estesa a migliaia di fedeli e soprattutto a 491 sacerdoti: “Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità?”. Benedetto XVI si mostra cosciente che dai lefebvriani si sono sentite “molte cose stonate”, frutto di superbia e fissazioni unilateraliste; ma allo stesso tempo ammette che “qualche stonatura” si è sentita anche dentro la chiesa: “A volte – conclude con una punta di amarezza – si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.