mercoledì 11 marzo 2009
Il Papa in Terra Santa. Il vice presidente della Coreis: viaggio di alto valore simbolico e di testimonianza di pace
“Un viaggio di particolare pregnanza simbolica per ebrei, cristiani e musulmani, di alto simbolismo fraterno e di testimonianza di pace”. Così Yahya Sergio Yahe Pallavicini, imam della moschea di via Meda a Milano e vice presidente della Coreis, la Comunità religiosa islamica, descrive all'agenzia SIR il significato del pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa. Pallavicini è uno dei 138 saggi musulmani che il 13 ottobre 2007 hanno la lettera “A commun Word” ed ha partecipato lo scorso anno dal 4 al 6 novembre al primo Forum cattolico-musulmano in Vaticano. Riguardo all’incontro del Papa con il Gran Muftì di Gerusalemme e la visita alla moschea di Al-Aqsa, Pallavicini afferma: “Sarà un momento di una particolare pregnanza simbolica non solo per i musulmani ma anche per ebrei, cristiani e musulmani nel loro insieme. La spianata delle due moschee si trova proprio al di sopra dello spazio che era occupato al suo tempo dal Tempio di Salomone e si affaccia sul Muro del Pianto che è l’unico muro rimasto del Tempio della lamentazione dove gli ebrei pregano. Quindi il Pontefice, che è la massima autorità del cristianesimo cattolico, si trova in uno spazio che simboleggia, ancor più con la sua presenza, l’unione fraterna delle tre religioni che si rifanno ad Abramo”. “Se poi – aggiunge Pallavicini - noi contestualizziamo questa immagine simbolica nel momento storico che stiamo vivendo, dove conflitti, violenze, giochi di potere sembrano prevalere, è chiaro che la visita del Papa diventa anche un forte segnale di pace”. I conflitti che hanno segnato in questo ultimo periodo il Medio Oriente “pesano” sui rapporti di dialogo tra le tre religioni del Libro. “Soprattutto – spiega l’imam - nelle persone più semplici si insinua il dubbio che la religione o il sacro o la sensibilità spirituale non ce la possono fare. Abbiamo un nemico, che oltre ad essere la violenza fisica o militare è l’arroganza di una violenza psicologica che va ad influire le mentalità. Per cui vengono messi in discussioni quelli che sono i principi naturali del vivere comune. Noi, certamente non possiamo entrare in politica però possiamo e dobbiamo essere testimoni di una politica della natura spirituale, di una politica che possa restituire l’ordine naturale del vero senso della vita, dell’uomo e della terra. Questo è quello che dobbiamo fare ora e lo dobbiamo fare insieme, ebrei, cristiani e musulmani, credenti e non credenti”.