di Paolo Rodari
Il Foglio
Era il 10 marzo scorso. Mentre i casi di preti accusati di aver commesso abusi su minori investivano la Germania, Benedetto XVI spiegava in Piazza San Pietro la sua idea di governo della Chiesa. Prese esempio da San Bonaventura dicendo che per lui “governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare”. “Per Bonaventura” disse “non si governa la Chiesa solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime”. Dal 10 marzo a oggi Ratzinger non è più tornato sull’argomento. Ma di fronte alle accuse sulla gestione della Chiesa che si sono fatte sempre più importanti – le ultime dicono di un New York Times che riporta i casi di due preti pedofili, lo statunitense Lawrence C. Murphy e il tedesco Peter Hullermann, per mettere in discussione il Ratzinger cardinale, prefetto dell’ex Sant’Uffizio dal 1981 – ha risposto mettendo in pratica l’insegnamento del teologo francescano. Ovvero lasciando un proprio “pensiero illuminato”, come vuole essere la Lettera pastorale alla Chiesa d’Irlanda.
Così è sempre successo nel corso dei suoi cinque anni di pontificato, che ricorrono il 19 aprile prossimo. Le parole sono il primo modo con cui il Papa guida e indirizza la Chiesa, consapevole che la divulgazione dell’autentico pensiero cristiano è la vera “spada” portata nel mondo. “Intendiamoci – spiega il vaticanista Luigi Accattoli – non è una novità. Reazioni furenti al pensiero del Papa avvennero già in passato”. Quale l’elemento scatenante? “L’idea che il Papa vuole tornare indietro, a prima del Concilio, agli anni bui dell’era tridentina. Che le sue parole sono retrograde se paragonate alla cultura contemporanea, al progressismo dei tempi nuovi. Paolo VI scrisse l’Humanae Vitae e dopo un primo momento di speranza per la cultura mediatica di stampo più ‘liberal’ divenne d’un colpo il Papa del diavolo. ‘Il Papa e il diavolo’, scrisse non a caso Vittorio Gorresio nel 1973. ‘La svolta di Paolo VI’ scrisse il vaticanista de L’Espresso, l’ex prete Carlo Falconi nel 1978. Dove per svolta s’intende l’accento preconciliare che Montini volle dare al proprio pontificato con l’Humanae Vitae. Le medesime accuse vennero rivolte a Giovanni Paolo II. Fino al 1989 Wojtyla era una speranza per tutti. Dopo la caduta del Muro di Berlino il suo pensiero non serviva più, e arrivarono le critiche. Ma il più retrogrado per la stampa era Ratzinger. ‘Restaurazione’ titolarono tutti i giornali quando nel 1985 anticiparono l’uscita del suo "Rapporto sulla fede" scritto con Vittorio Messori. ‘Restaurazione’, una parola che suonava quasi come un’infamia”.
Tutto comincia il 22 dicembre 2005. Benedetto XVI tiene il suo primo discorso alla Curia romana. E lancia la sfida a coloro che vorrebbero una Chiesa non tanto “per il mondo”, o “vicina al mondo”, ma una Chiesa “del mondo”. Ratzinger parla del Concilio. Dice che non fu una rottura col passato. Spiega che chi svolge questa interpretazione altro non fa che allinearsi alla “simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna”. “E’ il 22 dicembre del 2005 che tutti hanno definitivamente capito chi è Ratzinger” dice il primo dei vaticanisti, Benny Lai. “E’ qui che tutti hanno intuito con chi avrebbero avuto a che fare. Fino al 2005 c’era ancora qualcuno che sperava che il primo Ratzinger, quello ritenuto più progressista, sarebbe tornato. E invece non fu così. Ma già ai tempi del Concilio in molti presero un abbaglio ritenendo che Ratzinger fosse un teologo progressista. Lo pensava anche il cardinale Giuseppe Siri. La prima volta che lo vide non ne ebbe una buona impressione. Ma poi Ratzinger dimostrò d’essere altro dall’etichetta che gli era stata appiccicata addosso inizialmente. Ed è questo cambiamento che ancora oggi dà fastidio fuori e dentro la Chiesa”.
Dal discorso alla Curia romana a oggi il “Ratzinger pensiero” si è manifestato in più forme andando a scatenare la reazione indignata di diversi mondi. “Beninteso” dice ancora Benny Lai, “va detto che Ratzinger parte svantaggiato rispetto a Wojtyla perché per lui la folla non ha una funzione terapeutica, come ce l’aveva per il Papa polacco. Ma il problema è all’origine. Folla o non folla sono i contenuti che porta che danno fastidio e che generano avversioni. Anche nel caso dei preti pedofili: quanto fastidio dà, dentro la Chiesa, il fatto che Ratzinger continui a insistere sul celibato dei preti? Comunque il Papa non si scompone. Come ha fatto quando gli venne negata la possibilità di parlare alla Sapienza. Non si presentò nell’aula magna ma mandò ugualmente il suo discorso e lasciò un segno: ‘Non voglio imporre la fede’ disse. E tutti i giornali ci fecero il titolo. E la stessa cosa avvenne quando partì per l’Africa. Disse che l’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi. Apriti cielo. L’intellighenzia laica di mezza Europa lo attaccò. Ma aveva detto una cosa giusta: per combattere l’Aids serve un’educazione dell’uomo che lo porti a considerare il proprio corpo in modo diverso. L’opposto, insomma, di una concezione narcisistica e autoreferenziale della sessualità”.
Un’altra reazione importante a Benedetto XVI si ebbe, già prima, a Ratisbona. Parlò del rapporto tra fede e ragione. Toccò il nesso esistente tra religione e civiltà spiegando che convertire usando la violenza è contro la ragione e Dio. La citazione di una frase di Manuele II Paleologo, secondo il quale Maometto introdusse solo “cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede” scatenò l’indignazione del mondo musulmano. “Quella pagina” spiega Piero Gheddo, missionario, giornalista e scrittore del Pime, “è sintomatica di cosa sia questo pontificato. Parte del mondo musulmano reagì indignato. Eppure le parole del Papa restarono. Perché alle sue parole non si può sfuggire. E, infatti, il suo discorso produsse frutto. Un anno fa, ad esempio, sono stato in Bangladesh. Qui diversi musulmani stanno lavorando sulle parole del Papa in particolare sul rapporto che ci deve essere tra fede e ragione”.
Ratzinger ferisce non solo quando parla. Ma anche quando prende decisioni che entrano nel cuore della vita della Chiesa. Tra queste, la firma del "Summorum Pontificum" che ha liberalizzato il rito antico e la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. Il ripristino della Messa antica provocò reazioni soprattutto in Francia. “Che cosa dice a coloro che in Francia temono che il "Summorum Pontificum" segni un ritorno indietro rispetto alle grandi intuizioni del Vaticano II?” chiesero i giornalisti al Papa nel settembre del 2008, sull’aereo che lo portava verso Parigi. “E’ una paura infondata” rispose il Papa. “Perché questo Motu Proprio è semplicemente un atto di tolleranza, a fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia”. L’accusa è sempre la medesima: il Papa vuole tornare a prima del Concilio. E, quindi, è contro la modernità. E’ la stessa accusa che in molti hanno rivolto al Papa quando revocò la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Anche qui Ratzinger reagì spiegando: da una parte “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962”. Dall’altra disse a coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio che “chi vuole essere obbediente al Vaticano II, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Il Vaticano II ritorna sempre. La revoca della scomunica ai lefebvriani è per il mondo ebraico un ritorno a un passato ostile. Tra i quattro vescovi lefebvriani c’è Richard Williamson, negazionista quanto alla Shoah. Benedetto XVI è costretto a ribadire un concetto per lui ovvio, e cioè che non condivide in nulla la posizione del vescovo. Ma si capisce che parte del mondo ebraico non è soddisfatta. Del resto, è dalla visita ad Auschwitz e dal viaggio in Terra Santa che diversi rabbini di città importanti, soprattutto europee, criticano Ratzinger giudicando insufficienti la maggior parte delle parole che egli dedica agli ebrei. Dal tedesco Ratzinger si vuole di più, anche se è uno dei teologi che più hanno lavorato per il riavvicinamento con l’ebraismo. Ma nonostante le pressioni il Papa continua per la sua strada decidendo di comunicare, a pochi giorni dalla visita alla sinagoga di Roma, la firma del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, ultimo passo prima della beatificazione. Il mondo ebraico reagisce. Ma il Papa ha deciso e in sinagoga ridice un concetto già più volte espletato: “La sede apostolica svolse un’azione di soccorso verso gli ebrei spesso nascosta e discreta”.
C’è anche un certo mondo protestante che non comprende Ratzinger. E’ del novembre scorso la Costituzione Apostolica "Anglicanorum" Coetibus con la quale quei gruppi di anglicani che lo desiderano possono tornare con Roma. Il Papa ha spiegato il gesto come una risposta a una richiesta avanzata dagli stessi anglicani. Ma molti anglicani e anche parte della Chiesa Cattolica non l’hanno capito e l’hanno accusato di saper pescare “soltanto a destra”, ovvero in quei settori della cristianità scontenti per le derive progressiste e ‘liberal’ delle proprie chiese. Il primo febbraio scorso il Papa risponde alle accuse. E ai vescovi d’Inghilterra e Galles ricevuti in visita ad limina dice: “Vi chiedo di essere generosi nel realizzare le direttive della costituzione apostolica per assistere quei gruppi di anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la chiesa cattolica. Sono convinto che questi gruppi saranno una benedizione per tutta la chiesa”. Dice Piero Gheddo: “Ho girato il mondo e ho conosciuto diverse realtà anglicane. Perché vogliono tornare in comunione con Roma? Perché una Chiesa che apre al mondo in modo sconsiderato accettando l’ordinazione femminile e i matrimoni gay non ha senso. Il Papa combatte per salvaguardare una Chiesa ancorata alla verità e per questo c’è chi lo osteggia”.
Così è sempre successo nel corso dei suoi cinque anni di pontificato, che ricorrono il 19 aprile prossimo. Le parole sono il primo modo con cui il Papa guida e indirizza la Chiesa, consapevole che la divulgazione dell’autentico pensiero cristiano è la vera “spada” portata nel mondo. “Intendiamoci – spiega il vaticanista Luigi Accattoli – non è una novità. Reazioni furenti al pensiero del Papa avvennero già in passato”. Quale l’elemento scatenante? “L’idea che il Papa vuole tornare indietro, a prima del Concilio, agli anni bui dell’era tridentina. Che le sue parole sono retrograde se paragonate alla cultura contemporanea, al progressismo dei tempi nuovi. Paolo VI scrisse l’Humanae Vitae e dopo un primo momento di speranza per la cultura mediatica di stampo più ‘liberal’ divenne d’un colpo il Papa del diavolo. ‘Il Papa e il diavolo’, scrisse non a caso Vittorio Gorresio nel 1973. ‘La svolta di Paolo VI’ scrisse il vaticanista de L’Espresso, l’ex prete Carlo Falconi nel 1978. Dove per svolta s’intende l’accento preconciliare che Montini volle dare al proprio pontificato con l’Humanae Vitae. Le medesime accuse vennero rivolte a Giovanni Paolo II. Fino al 1989 Wojtyla era una speranza per tutti. Dopo la caduta del Muro di Berlino il suo pensiero non serviva più, e arrivarono le critiche. Ma il più retrogrado per la stampa era Ratzinger. ‘Restaurazione’ titolarono tutti i giornali quando nel 1985 anticiparono l’uscita del suo "Rapporto sulla fede" scritto con Vittorio Messori. ‘Restaurazione’, una parola che suonava quasi come un’infamia”.
Tutto comincia il 22 dicembre 2005. Benedetto XVI tiene il suo primo discorso alla Curia romana. E lancia la sfida a coloro che vorrebbero una Chiesa non tanto “per il mondo”, o “vicina al mondo”, ma una Chiesa “del mondo”. Ratzinger parla del Concilio. Dice che non fu una rottura col passato. Spiega che chi svolge questa interpretazione altro non fa che allinearsi alla “simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna”. “E’ il 22 dicembre del 2005 che tutti hanno definitivamente capito chi è Ratzinger” dice il primo dei vaticanisti, Benny Lai. “E’ qui che tutti hanno intuito con chi avrebbero avuto a che fare. Fino al 2005 c’era ancora qualcuno che sperava che il primo Ratzinger, quello ritenuto più progressista, sarebbe tornato. E invece non fu così. Ma già ai tempi del Concilio in molti presero un abbaglio ritenendo che Ratzinger fosse un teologo progressista. Lo pensava anche il cardinale Giuseppe Siri. La prima volta che lo vide non ne ebbe una buona impressione. Ma poi Ratzinger dimostrò d’essere altro dall’etichetta che gli era stata appiccicata addosso inizialmente. Ed è questo cambiamento che ancora oggi dà fastidio fuori e dentro la Chiesa”.
Dal discorso alla Curia romana a oggi il “Ratzinger pensiero” si è manifestato in più forme andando a scatenare la reazione indignata di diversi mondi. “Beninteso” dice ancora Benny Lai, “va detto che Ratzinger parte svantaggiato rispetto a Wojtyla perché per lui la folla non ha una funzione terapeutica, come ce l’aveva per il Papa polacco. Ma il problema è all’origine. Folla o non folla sono i contenuti che porta che danno fastidio e che generano avversioni. Anche nel caso dei preti pedofili: quanto fastidio dà, dentro la Chiesa, il fatto che Ratzinger continui a insistere sul celibato dei preti? Comunque il Papa non si scompone. Come ha fatto quando gli venne negata la possibilità di parlare alla Sapienza. Non si presentò nell’aula magna ma mandò ugualmente il suo discorso e lasciò un segno: ‘Non voglio imporre la fede’ disse. E tutti i giornali ci fecero il titolo. E la stessa cosa avvenne quando partì per l’Africa. Disse che l’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi. Apriti cielo. L’intellighenzia laica di mezza Europa lo attaccò. Ma aveva detto una cosa giusta: per combattere l’Aids serve un’educazione dell’uomo che lo porti a considerare il proprio corpo in modo diverso. L’opposto, insomma, di una concezione narcisistica e autoreferenziale della sessualità”.
Un’altra reazione importante a Benedetto XVI si ebbe, già prima, a Ratisbona. Parlò del rapporto tra fede e ragione. Toccò il nesso esistente tra religione e civiltà spiegando che convertire usando la violenza è contro la ragione e Dio. La citazione di una frase di Manuele II Paleologo, secondo il quale Maometto introdusse solo “cose cattive e disumane come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede” scatenò l’indignazione del mondo musulmano. “Quella pagina” spiega Piero Gheddo, missionario, giornalista e scrittore del Pime, “è sintomatica di cosa sia questo pontificato. Parte del mondo musulmano reagì indignato. Eppure le parole del Papa restarono. Perché alle sue parole non si può sfuggire. E, infatti, il suo discorso produsse frutto. Un anno fa, ad esempio, sono stato in Bangladesh. Qui diversi musulmani stanno lavorando sulle parole del Papa in particolare sul rapporto che ci deve essere tra fede e ragione”.
Ratzinger ferisce non solo quando parla. Ma anche quando prende decisioni che entrano nel cuore della vita della Chiesa. Tra queste, la firma del "Summorum Pontificum" che ha liberalizzato il rito antico e la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. Il ripristino della Messa antica provocò reazioni soprattutto in Francia. “Che cosa dice a coloro che in Francia temono che il "Summorum Pontificum" segni un ritorno indietro rispetto alle grandi intuizioni del Vaticano II?” chiesero i giornalisti al Papa nel settembre del 2008, sull’aereo che lo portava verso Parigi. “E’ una paura infondata” rispose il Papa. “Perché questo Motu Proprio è semplicemente un atto di tolleranza, a fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia”. L’accusa è sempre la medesima: il Papa vuole tornare a prima del Concilio. E, quindi, è contro la modernità. E’ la stessa accusa che in molti hanno rivolto al Papa quando revocò la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Anche qui Ratzinger reagì spiegando: da una parte “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962”. Dall’altra disse a coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio che “chi vuole essere obbediente al Vaticano II, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Il Vaticano II ritorna sempre. La revoca della scomunica ai lefebvriani è per il mondo ebraico un ritorno a un passato ostile. Tra i quattro vescovi lefebvriani c’è Richard Williamson, negazionista quanto alla Shoah. Benedetto XVI è costretto a ribadire un concetto per lui ovvio, e cioè che non condivide in nulla la posizione del vescovo. Ma si capisce che parte del mondo ebraico non è soddisfatta. Del resto, è dalla visita ad Auschwitz e dal viaggio in Terra Santa che diversi rabbini di città importanti, soprattutto europee, criticano Ratzinger giudicando insufficienti la maggior parte delle parole che egli dedica agli ebrei. Dal tedesco Ratzinger si vuole di più, anche se è uno dei teologi che più hanno lavorato per il riavvicinamento con l’ebraismo. Ma nonostante le pressioni il Papa continua per la sua strada decidendo di comunicare, a pochi giorni dalla visita alla sinagoga di Roma, la firma del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, ultimo passo prima della beatificazione. Il mondo ebraico reagisce. Ma il Papa ha deciso e in sinagoga ridice un concetto già più volte espletato: “La sede apostolica svolse un’azione di soccorso verso gli ebrei spesso nascosta e discreta”.
C’è anche un certo mondo protestante che non comprende Ratzinger. E’ del novembre scorso la Costituzione Apostolica "Anglicanorum" Coetibus con la quale quei gruppi di anglicani che lo desiderano possono tornare con Roma. Il Papa ha spiegato il gesto come una risposta a una richiesta avanzata dagli stessi anglicani. Ma molti anglicani e anche parte della Chiesa Cattolica non l’hanno capito e l’hanno accusato di saper pescare “soltanto a destra”, ovvero in quei settori della cristianità scontenti per le derive progressiste e ‘liberal’ delle proprie chiese. Il primo febbraio scorso il Papa risponde alle accuse. E ai vescovi d’Inghilterra e Galles ricevuti in visita ad limina dice: “Vi chiedo di essere generosi nel realizzare le direttive della costituzione apostolica per assistere quei gruppi di anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la chiesa cattolica. Sono convinto che questi gruppi saranno una benedizione per tutta la chiesa”. Dice Piero Gheddo: “Ho girato il mondo e ho conosciuto diverse realtà anglicane. Perché vogliono tornare in comunione con Roma? Perché una Chiesa che apre al mondo in modo sconsiderato accettando l’ordinazione femminile e i matrimoni gay non ha senso. Il Papa combatte per salvaguardare una Chiesa ancorata alla verità e per questo c’è chi lo osteggia”.