sabato 19 novembre 2011

Il Papa: non private i popoli africani della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il presente! Diventate veri servitori della speranza

Nel discorso tenuto nella Sala del Popolo del Palazzo Presidenziale di Cotonou, dove erano riuniti i membri del Governo, gli esponenti delle Istituzioni dello Stato, il Corpo Diplomatico e i rappresentanti delle principali Religioni presenti in Benin, Benedetto XVI si è detto "consapevole che le parole non hanno dovunque il medesimo significato. Ma, quella di speranza - ha scandito - varia poco secondo le culture. Alcuni anni fa, ho dedicato una Lettera Enciclica alla speranza cristiana. Parlare della speranza, significa parlare del futuro, e dunque di Dio. Il futuro si radica nel passato e nel presente. Il passato, noi lo conosciamo bene, addolorati per i suoi fallimenti e lieti per le sue realizzazioni positive. Il presente, lo viviamo come possiamo. Al meglio, spero, e con l'aiuto di Dio. E' su questo terreno composto da molteplici elementi contradditori e complementari che si tratta di costruire, con l'aiuto di Dio". Ed è proprio alla luce della speranza che il Pontefice ha voluto leggere “due realtà africane che sono di attualità”. La prima si riferisce “alla vita sociopolitica ed economica del Continente, la seconda al dialogo interreligioso”. ''In questi ultimi mesi, molti popoli hanno manifestato il loro desiderio per la libertà, il loro bisogno di sicurezza materiale, la loro speranza di vivere in armonia, secondo le esigenze dei differenti gruppi etnici e delle diverse religioni. E' anche nato un nuovo stato nel vostro continente. Numerosi sono stati anche i conflitti generati dall'accecamento dell'uomo, dalla sua volontà di potere e da interessi politico-economici che escludono la dignità delle persone o quella della natura. La persona umana aspira alla libertà'', "vuole vivere degnamente; vuole buone scuole e alimentazione per i bambini, ospedali dignitosi per curare i malati; vuol essere rispettata; rivendica un modo di governare limpido che non confonda l’interesse privato con l’interesse generale; e soprattutto, vuole la pace e la giustizia". ''In questo momento - ha detto - ci sono troppi scandali e ingiustizie, troppa corruzione e avidita', troppo disprezzo e troppe menzogne, troppe violenze che portano alla miseria e alla morte. Questi mali affliggono certamente il vostro continente, ma ugualmente il resto del mondo. Ogni popolo desidera comprendere le scelte politiche ed economiche fatte nel suo nome. Percepisce la manipolazione e la rivolta è talvolta violenta. Vuole partecipare al buon governo". "Sappiamo - ha detto - che nessun regime politico umano è l'ideale, che nessuna scelta economica è neutra". I responsabili politici ed economici, ha scandito, "devono sempre servire il bene comune". "Ci troviamo dunque davanti ad una rivendicazione legittima che riguarda tutti i Paesi, per una maggiore dignità, e soprattutto una maggiore umanità: l'uomo vuole che la sua umanità sia rispettata e promossa". ''Da questa tribuna - ha aggiunto -, lancio un appello a tutti i responsabili politici ed economici dei Paesi africani e del resto del mondo. Non private i vostri popoli della speranza. Non amputate il loro futuro, mutilando il loro presente. Abbiate un approccio etico con il coraggio delle vostre responsabilità e, se siete credenti, pregate Dio di concedervi la sapienza” che “vi farà comprendere che, in quanto promotori del futuro dei vostri popoli, occorre diventare veri servitori della speranza”. "Non è facile - ha ammesso il Papa - vivere la condizione di servitore, restare integri in mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti. Il potere, qualunque sia, acceca con facilità, soprattutto quando sono in gioco interessi privati, familiari, etnici o religiosi. Dio solo purifica i cuori e le intenzioni". “La Chiesa – ha ribadito – non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcuna soluzione politica", tuttavia continua a ripetere “non abbiate paura!”. Di fronte alle grandi sfide del mondo “l’umanità non è sola” perché “Dio è presente”. Questo è "un messaggio di speranza, una speranza generatrice di energia, che stimola l’intelligenza e conferisce alla volontà tutto il suo dinamismo". Benedetto XVI, citando l'arcivescovo di Toulouse, il card. Saliège, ha continuato: "'Sperare, non è abbandonare; è raddoppiare l’attività'. La Chiesa accompagna lo Stato nella sua missione; vuole essere come l’anima di questo corpo indicando infaticabilmente l’essenziale: Dio e l’uomo. Essa desidera compiere, apertamente e senza paura, questo immenso compito di colei che educa e cura, e soprattutto che prega continuamente, che indica dove è Dio e dov’è il vero uomo". Per il Papa "la disperazione è individualista. La speranza è comunione". "Invito ad essa tutti i responsabili politici, economici, così come il mondo universitario e quello della cultura. Siate, anche voi, seminatori di speranza!". Rispetto alla seconda questione, dopo aver ricordato “i recenti conflitti nati in nome di Dio, e le morti date in nome di Colui che è la Vita" e che "ogni persona di buon senso comprende che bisogna sempre promuovere la cooperazione serena e rispettosa delle diversità culturali e religiose", Benedetto XVI ha sottolineato che “il vero dialogo interreligioso rigetta la verità umanamente egocentrica, perché la sola ed unica verità è in Dio. Dio è la Verità. Per questo fatto, nessuna religione, nessuna cultura può giustificare l’appello o il ricorso all’intolleranza e alla violenza. L’aggressività è una forma relazionale piuttosto arcaica che fa appello ad istinti facili e poco nobili. Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore”. “Non posso conoscere l’altro se non conosco me stesso. Non posso amarlo se non amo me stesso - ha sottolineato -. La conoscenza, l’approfondimento e la pratica della propria religione sono dunque essenziali al vero dialogo interreligioso”. Questo non può cominciare che con la preghiera personale e sincera di colui che desidera dialogare. Che egli si ritiri nel segreto della sua camera interiore per domandare a Dio la purificazione del ragionamento e la benedizione per il desiderato incontro. Questa preghiera chiede anche a Dio il dono di vedere nell’altro un fratello da amare, e nella tradizione che egli vive un riflesso della verità che illumina tutti gli uomini". Conviene dunque che “ognuno si ponga in verità davanti a Dio e davanti all’altro. Questa verità non esclude, e non è una confusione. Il dialogo interreligioso mal compreso porta alla confusione o al sincretismo. Non è questo il dialogo che si cerca”. "Nonostante gli sforzi compiuti - ha proseguito il Santo Padre -, sappiamo anche che, talvolta, il dialogo interreligioso non è facile, o anche che è impedito per diverse ragioni. Questo non significa affatto una sconfitta. Le forme del dialogo interreligioso sono molteplici. La cooperazione nel campo sociale o culturale può aiutare le persone a comprendersi meglio e a vivere insieme serenamente. E’ anche bene sapere che non si dialoga per debolezza, ma che si dialoga perché si crede in Dio. Dialogare è un modo supplementare di amare Dio ed il prossimo senza abdicare a ciò che si è. Avere speranza non significa essere ingenui, ma compiere un atto di fede in un avvenire migliore. La Chiesa Cattolica attua così una delle intuizioni del Concilio Vaticano II, quella di favorire le relazioni amichevoli tra essa e i membri di religioni non cristiane”. Ai responsabili religiosi il Papa ha chiesto di “promuovere, soprattutto tra i giovani, una pedagogia del dialogo, affinché scoprano che la coscienza di ciascuno è un santuario da rispettare, e che la dimensione spirituale costruisce la fraternità. La vera fede conduce invariabilmente all’amore”. Un discorso più che mai valido in una terra come quella africana dove “sono numerose le famiglie i cui membri professano credenze diverse, e tuttavia le famiglie restano unite”. Questa unità, ha osservato il Papa è cementata in modo particolare “dall’affetto fraterno”. In questo ambito quindi l’Africa “può fornire a tutti materia di riflessione ed essere così una sorgente di speranza”. Il Papa ha concluso il suo discorso utilizzando l'immagine della mano. "La compongono - ha osservato - cinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la loro unità forma la mano. La buona intesa tra le culture, la considerazione non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto dei diritti di ciascuno sono un dovere vitale. Occorre insegnarlo a tutti i fedeli delle diverse religioni. L'odio è una sconfitta, l'indifferenza un vicolo cieco, e il dialogo un'apertura". "Non è questo - si è chiesto - un buon terreno in cui saranno seminati dei semi di speranza? Tendere la mano significa sperare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c'è di più bello di una mano tesa?". "Essa - ha ricordato - è stata voluta da Dio per donare e ricevere. Dio non ha voluto che essa uccida o che faccia soffrire, ma che curi e aiuti a vivere. Accanto al cuore e all'intelligenza, la mano può diventare, anch'essa, uno strumento di dialogo. Essa può fare fiorire la speranza, soprattutto quando l'intelligenza balbetta e il cuore inciampa". "La fede - ha concluso il Pontefice - vive il presente, ma attende i beni futuri. Dio è nel nostro presente, ma è anche nel futuro, luogo della speranza. La dilatazione del cuore è non soltanto la speranza in Dio, ma anche l'apertura alla cura delle realtà corporali e temporali per glorificare Dio. Seguendo Pietro, di cui sono il successore, auguro che la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio. E' questo l'augurio che formulo per l'Africa intera, che mi è tanto cara! Abbi fiducia, Africa, ed alzati! Il Signore ti chiama. Dio vi benedica".

Agi, Asca, SIR

VIAGGIO APOSTOLICO IN BENIN (18-20 NOVEMBRE 2011) (V) - il testo integrale del discorso del Papa