La forza dell’uomo, osservava Benedetto XVI nell’omelia pronunciata nella Veglia Pasquale del 7 aprile 2007, "non basta per elevarsi verso Dio". E tuttavia "nient’altro può appagare l’uomo eternamente, se non l’essere con Dio. Un’eternità senza questa unione sarebbe una condanna". Ecco allora "la straordinarietà della rivelazione e della fede cristiana": la "misericordiosa discesa di Gesù" incontra l’uomo vecchio e lo "incorpora così all’uomo nuovo". Nel suo commento all’omelia di Benedetto XVI, ieri sera nel Palazzo Lateranense, il vescovo Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha sottolineato: "L’elevazione dell’uomo a Dio rappresenta la grande ambizione di tutte le religioni. D’altra parte, questa ambizione rimane frustrata se Dio non discende verso l’uomo". Per diventare uomini nuovi dunque, ha sottolineato mons. Dal Covolo, è necessaria "una conversione, la 'metànoia', il cambiamento di mentalità". Inoltre, come dice Benedetto XVI, "l’uomo nuovo non deve mai rinchiudersi in se stesso ma deve essere in relazione con l’altro". Al primo dei tre appuntamenti teologici promossi dalla diocesi di Roma e organizzati dall’Ufficio per la pastorale universitaria sulle grandi omelie pasquali del Papa, sul tema "L’uomo nuovo: mito o realtà", e moderato da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, dopo la lettura teologica che ha aperto l’incontro sono stati chiamati ad intervenire il direttore della Rai Lorenza Lei e lo psichiatra Alberto Siracusano, dell’Università Tor Vergata. "Oggi viviamo in un tempo in cui i mezzi che abbiamo a disposizione possono illudere della loro onnipotenza - ha spiegato il direttore della Rai -. Non per questo li si deve calare di una dimensione escatologica". Infatti, "non è la tecnologia che crea l’umanità, è l’umanità che deve risorgere anche attraverso la tecnologia". La televisione, la rete nella "quale si sta spostando - ha poi aggiunto Lei -, vengono spesso accusati di portare nelle case l’immagine peggiore del mondo, le guerre, i soprusi, le violenze degli assassini, la sopraffazione dell’uomo sulla donna. Spesso tutto ciò accade con l’ipocrisia dello spettacolo, con il piacere del voyeurismo, con l’egoismo di chi si rassicura guardando l’orrore che attribuisce agli altri". Ma, ha ribadito, "non per questo dobbiamo abbassare gli occhi e non vedere". Non esiste "un potere autonomo della tecnologia - ha poi aggiunto -: esistono i poteri che si esercitano attraverso le tecnologie e dunque dobbiamo essere consci del gioco che presiede al loro sviluppo e portarvi dentro il senso della nostra missione". "L’uomo nuovo - ha spiegato poi lo psichiatra Siracusano - è secondo la nostra osservazione colui che riesce a crescere e nel momento della crisi sviluppa una capacità alta di conoscenza di sé", in un’"esplorazione di quei luoghi interni nei quali nascono emozioni, sentimenti capaci di creare sconvolgimenti dell’animo. Un viaggio che ci avvicina a una maggiore conoscenza di noi stessi" e attiva "un senso di individuazione e di riconoscimento degli aspetti disfunzionali del mondo interno". Ma per riuscirci serve l’"equilibrio tra pensare, sentire ed essere". Non c’è "terapia cura o rimedio - ha poi aggiunto - se non si riesce a stabilire con l’altro un 'essere con'", cioè un "apprendimento dell’essere nella realtà". Del resto, ha poi rimarcato, "l’uomo è spronato dal desiderio di conoscere se stesso, ma questa conoscenza diventa felicità solo se completata dall’amore di Dio".
Graziella Melina, RomaSette
Benedetto XVI, 7 aprile 2007, Veglia Pasquale nella Notte Santa