giovedì 26 gennaio 2012

Relazione del card. Bertone sul processo di elaborazione, pubblicazione e recezione dei documenti della Santa Sede in vista della riunione della Curia

Il metodo indicato è quello della Congregazione della Dottrina della Fede quando a capo vi era Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI. Un metodo molto collegiale, che coinvolgeva personale del dicastero, consultori, e poi i Membri nella riunione della Feria IV. È il modello indicato da Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, che il 28 gennaio, insieme al Papa, incontra i capi dicastero della Curia Romana per parlare del “Processo di elaborazione, pubblicazione e recezione dei documenti della Santa Sede”. La relazione del cardinale è stata già inviata ai dicasteri, in maniera da predisporre al confronto. Sono 14 pagine dense di puntualizzazioni fatte sulla base della legge della Chiesa e consigli pratici. Sembrano banalità. Ma non lo sono. Indicano la necessità della Curia di ri-organizzarsi. Bertone non rivendica il controllo. Chiede dialogo tra i dicasteri, collegialità. Ricorda come funziona la struttura della Chiesa. Richiama tutti alle proprie responsabilità. Lancia frecciate contro chi rema contro. E si interroga infine sulla recezione dei documenti, tema molto caro a Benedetto XVI, un discorso che “non va affrontato in maniera semplicistica”, perché “ciò che a prima vista possiede minore rilevanza per alcuni, è invece molto importante per i destinatari più immediati”. Lo sfondo è il “vortice sempre più frenetico dei mezzi di comunicazione”. E la domanda è duplice: “Quali strumenti potrebbero essere utili a veicolare presso l’opinione pubblica i contenuti di un documento”, con tutta la difficoltà “di far digerire testi lunghi, che nell’ottica di chi li produce sono destinati ad avere un impatto a lungo termine, non solo sui giornali del giorno seguente”. E poi, come mantenere la riservatezza sui contenuti, “un aspetto che dovrebbe accompagnare tutto il processo di redazione dei documenti, a garanzia della serietà del confronto tra le diverse istanze e coinvolte e della libertà da condizionamenti esterni”, quando “l’evoluzione delle recenti tecnologie di comunicazione sembra avere fatto dilagare una sorta di passione per le notizie minute del pettegolezzo ecclesiastico, che minano il prestigio della Santa Sede e giungono talora ad ostacolare il clima di fiducia tra i suoi diversi organismi”? Bertone chiede di interrogarsi su “come fronteggiare” quest’ultimo fenomeno. E sostiene che non sarebbe “positivo” restringere il numero di persone o istituzioni consultate. Come un dicastero deve elaborare un documento? Si comincia dalla progettazione, e tutti devono essere coinvolti: il personale del dicastero, ma anche i consultori e i membri. E ci si domanda anche se è solo il dicastero competente per quell’area, o se invece sia più opportuno un documento tra dicasteri. Dopodiché, si chiede al Papa “il nulla osta a procedere”. Poi, si passa alla fase della redazione. E qui le cose si complicano. A volte è necessario anche chiamare degli esperti, e, nota Bertone, “come tutti sappiamo, risulta difficile trovare, nella stessa persona, competenza circa la materia da esporre, fedeltà alla prospettiva del Magistero e padronanza del linguaggio dei testi della Santa Sede”. Allora la stesura del testo va seguita passo dopo passo, non basta commissionare la bozza, perché, nota il cardinale, “è sempre spiacevole trovarsi davanti a un lavoro già completato, magari prodotto con un lungo impegno (e gratuitamente) da parte di esperti e dover poi dire loro che purtroppo il contenuto non è utilizzabile. È invece più semplice intervenire in corso d’opera”. Vale per tutto, anche per i progetti di discorso del Papa, con l’“attenzione in più” di riflettere il modo di esprimersi del Papa, “essenziale, capace di trasmettere in maniera efficace anche tematiche complesse”.
Bertone chiede dialogo tra i vari dicasteri di Curia, perché “la pluralità di punti di vista che le diverse Congregazioni e Pontifici Consigli rappresentano è senz’altro una ricchezza, che deve essere valorizzata mediante una opportuna collaborazione”. Vanno senz’altro consultati la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Pontificio Consiglio dei Testi Legislativi, ma anche la Segreteria di Stato, per coordinarsi con eventuali altri testi in preparazione, e per non “creare distonie tra messaggi e discorsi pontifici che si vanno svolgendo e contenuti dei documenti in fase di elaborazione”. La seconda sezione della Segreteria di Stato è sempre informata di documenti di rilevanza sociale e politica, per cui ha una specifica competenza, basti pensare alle rappresentanze presso le Organizzazioni Internazionali. Passano dalla seconda sezione della Segreteria di Stato i documenti del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e Giustizia e Pace. È passata da lì anche l’ultima riflessione, impropriamente definita nota, di Justitia e Pax sulla riforma del sistema finanziario internazionale. Una riflessione che aveva il valore di una pubblicazione di studi, e che dunque non doveva passare per l'avallo previo di Benedetto XVI, ma che comunque il Pontificio Consiglio aveva inviato in seconda sezione. Un dettaglio, questo, che non è stato considerato nelle varie ricostruzioni giornalistiche sulla vicenda.
Nella stesura di un documento di dicastero, tutti devono essere coinvolti, anche i Membri, la cui approvazione finale del documento è “un passaggio imprescindibile, che dovrà realizzarsi di norma mediante la convocazione della plenaria del dicastero”. E poi, il documento passa al Papa, che “dovrà avere il tempo di esaminare il testo, chiederne eventuali spiegazioni aggiuntive e infine comunicare la sua decisione in merito”. L’approvazione sottolinea che “i dicasteri non parlano per se stessi, ma in quanto chiamati a coadiuvare il Romano Pontefice nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale”. E poi la pubblicazione. Recentemente, la Segreteria di Stato ha inviato una circolare in cui si richiedeva che un documento pronto per la pubblicazione fosse inviato alla Segreteria di Stato, e da questa inviato alla Sala Stampa e agli altri organismi di comunicazione della Santa Sede. Questo perché ci sia “certezza della versione definitiva del documento” (Bertone nota il rischio che, dato che ormai si può intervenire sul testo all’ultimo momento, si possono creare “discrepanze” tra il testo inviato alla Sala Stampa e quello che la Segreteria di Stato invia alle nunziature, e chiede di limitare al più possibile la correzione di un testo dopo la sua pubblicazione) e anche perché così ci si possa coordinare per rendere noto il testo, evitando sovrapposizioni “con altre attività di rilievo del Sommo Pontefice”.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org