venerdì 10 febbraio 2012

Benedetto XVI e le grandi donne cristiane: vicende di carne e di cielo. Il senso della riflessione storica in Joseph Ratzinger

Il metodo di lavoro di Benedetto XVI, quale emerge da tante sue opere, e in particolare dalle sue catechesi sulle sante medievali, consiste prima di tutto nel ricordare che gli eventi narrati si sono svolti sul "suolo della terra" e che non costituiscono facce intercambiabili. A tal fine le fonti storiche sono minuziosamente riportate e reinserite nei loro diversi contesti all’inizio di ogni catechesi: scritti propri delle Sante o scritti raccolti dalle persone loro vicine. Le Sante hanno una storia di carne e di cielo che il Papa presenta in un ordine cronologico molto preciso. A partire da questo riflesso storico nel senso proprio del termine, Benedetto XVI lascia anche il passato al passato. In effetti, il passato non dovrebbe in nessun caso essere confuso con il presente. Benedetto XVI ha insistito in diverse occasioni su questa regola d’oro: per restare fedele a se stesso, "il metodo storico...non deve soltanto cercare la parola come qualcosa che appartiene al passato, ma deve anche lasciarla nel passato. In essa può intravedere punti di contatto con il presente, l’attualità, cercarne applicazioni al presente, - vale a dire esplorare le potenzialità del passato in grado di svilupparsi oggi - ma non può renderla 'attuale'". La Chiesa medievale non dovrebbe dunque essere eretta a modello per la Chiesa del XXI secolo. Nessuna nostalgia delle origini, nessun ritorno al passato o visione passatista della Chiesa. Il medioevo non è il XXI secolo. Il teologo entra allora nella parte teologica della catechesi propriamente detta, destinata a presentare il rapporto tra l’anima e Dio: rapporto di alleanza. Questa teologia è anche quella che Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha perseguito per tutta la vita dalla sua tesi su San Bonaventura. Essa deriva da un interrogativo della storia della salvezza. Questa tematica propria della teologia tedesca si oppone in particolare a una teologia naturale "troppo poco biblica e antistorica che stabilisce il posto di Dio rispetto alla creazione e non all’Alleanza". Come sottolinea lo storico Philippe Levillain, le posizioni di Papa Ratzinger si ricollegano "forse consapevolmente [alle tesi] esposte da Reinhard Koselleck nella sua opera più celebre pubblicata nel 1979, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici". I lavori di questo storico tedesco, uno dei più grandi del XX secolo, poco conosciuto dal pubblico francese, hanno messo soprattutto in evidenza la nozione di perdita contemporanea del senso del presente. Ebbene la perdita di questo senso non è legata all’idea di un passato che si sarebbe perduto o che si dovrebbe proseguire, ma al modo di pensare il tempo della storia. I sistemi temporali classici, ampiamente legati alle filosofie della storia che sono stati applicati in Europa tra il 1750 e il 1850, in effetti hanno mirato a creare una visione della storia in cui il futuro viene assimilato al progresso, senza riferimenti al passato. Ebbene, questa modellizzazione ha portato a rifiutare la temporalizzazione che è sempre stata propria della cristianità: vedere il senso del presente nel modo di orientare il passato "verso un simile dissimile", in altre parole, di pensare il futuro. Per superare le aporie tra questi due modi di concepire il tempo che hanno portato a opporre la visione cristiana alla visione politica della modernità, Koselleck invita a cambiare paradigma metodologico. Invita a cambiare «regime di storicità» per uscire dalla lacerazione del presente tra un passato che sarebbe perduto e un futuro sempre più incerto. Orientare il passato verso un "simile dissimile": in questa espressione paradossale si esprime tutto l’atteggiamento di Benedetto XVI riguardo alla tradizione e alla modernità. Tradizione intesa come persistenza del passato nel presente (quello che Koselleck definisce come il "campo di esperienza"); modernità come attese relative al futuro (quello che Koselleck definisce "l’orizzonte di attesa"). È questa lacerazione tra tradizione e modernità, campo di esperienza e orizzonte di attesa, che ha portato a una rottura tra il presente, il passato e il futuro. È al contrario la loro riconciliazione a creare il senso del presente. Le omelie catechetiche si collocano in quest’ottica. Invitando il pubblico delle Udienze, e in generale tutto il popolo dei battezzati, a comprendere i modelli agiografici della tradizione, il Pastore cerca di mostrare molto concretamente e molto semplicemente come si collocano in una “modernità”. Così la vita di santa Ildegarda di Bingen (per fare un esempio) è l’occasione per ricordare il suo percorso spirituale profondamente incarnato in un’epoca afflitta dallo scisma dell’imperatore Federico Barbarossa che oppose tre antipapi al Papa legittimo, Alessandro III. La Santa visionaria di Dio, considerata una profetessa per avere denunciato nella sua epoca il male che si stava compiendo e per aver rivelato ai suoi contemporanei un orizzonte di speranza, è portatrice di "un messaggio che non dovremmo mai dimenticare". Questa frase dall’enunciato semplice nasconde una realtà complessa. Il "non dimenticare mai", il fare memoria, deriva dalla costruzione di una coscienza storica. Essa rappresenta per Benedetto XVI una volontà di articolare il presente al passato e al futuro. Solo questa articolazione è in grado di far fronte alla disumanizzazione del mondo a motivo della nostalgia e del progresso definito da Henri de Lubac "il dramma dell’umanesimo ateo". Essa non si limita al solo richiamo storico della spiritualità medievale. Così questa meditazione sulla santità femminile medievale non deriva da una gestione del passato ma al contrario da un modo di “superare il passato”. "Esempi di vita cristiana da imitare", queste agiografie non invitano a imitare un modello del passato, ma a esplorare le potenzialità del passato che sono in potenza realizzabili, vale a dire sempre in grado di realizzarsi qui e ora nella singolarità delle vite. È forse questa la ragione per cui il discorso sulla santità è anche sistematicamente incline a mostrare un forte uso del simbolo.
Il simbolo, all’origine oggetto che veniva diviso in due per ricordare il contratto che univa le due parti contraenti, è un modo di esprimere il rapporto di alleanza tra l’uomo e Dio. Le sante hanno tutte sperimentato in modo singolare l’arte suprema e divina di amare Dio nella persona di suo Figlio mediante la grazia dello Spirito Santo, definizione della mistica nel medioevo, che è partecipazione intima al mistero di Dio. Le catechesi sottolineano questa partecipazione unitiva al mistero d’amore e di conoscenza divina, fonte d’intelligenza per la teologia nel senso letterale del termine: la conoscenza di Dio. Per esempio, Benedetto XVI ricorre al simbolo del “filo d’oro” parlando della vita di Caterina da Genova, delle “rose” parlando della vita di Elisabetta d’Ungheria, dello “specchio” parlando della vita di Chiara d’Assisi, del “libro” parlando della vita di Margherita d’Oingt, del “ponte” parlando della vita di santa Caterina da Siena, e così via. Questi simboli, nella misura in cui esprimono con l’aiuto di un’immagine concreta il rapporto dell’uomo con il divino, sono ancora un modo per dire che cosa è la santità. L’uomo santo è l’uomo creato a immagine di Dio che è riuscito a ottenere tale somiglianza mediante l’esercizio della conoscenza e dell’unione con il divino, essendo l’uomo stato creato 'ad imaginem et similitudinem Dei'. Egli è, in questo contesto, un’immagine potenziale che l’agiografia ha ancora il compito di far realizzare. Le immagini agiografiche funzionano come operatori di conversione. Hanno come funzione quella di descrivere il movimento che porta l’anima alla somiglianza con Dio: lo specchio, la rosa, il filo d’oro, il libro sono vettori di questa operazione. Solo in questo senso è possibile parlare del modo in cui queste vite ci “toccano”, in altre parole di come esse raggiungono il futuro raggiungendoci, il passato che passa. Benedetto XVI esprime ciò in modo quasi sistematico alla fine della sue omelie. Se il messaggio delle sante ricordate nelle udienze resta dunque attuale è perché conserva una reale "forza di contemporaneità", in quanto le persone trovano in esse, "secondo la parola evangelica, nova et vetera, verità antiche e idee nuove", capaci di determinare le loro azioni. Azioni incessantemente sorrette dalla preghiera e dall’Eucaristia, tanto diverse come quelle condotte dalle figure sante. Questa forza di contemporaneità è anche molto vicina alla morale dell’azione descritta da Paul Ricoeur, "che consiste allo stesso tempo nel dotarsi di progetti determinati e modesti per impedire all’orizzonte di attesa di fuggire" e nel ritrovare le potenzialità non realizzate del passato. Il messaggio delle Sante è in effetti portatore di numerose virtualità che non si sono potute sviluppare nel passato e che non chiedono altro che di accadere. Benedetto XVI esorta così soprattutto le donne dei primi decenni del XXI secolo a essere “traghettatrici” divenendo esse stesse artefici di questo dispiegamento di vitalità spirituale. Proprio in questo ambito le sante possono veramente “insegnare” alle donne del XXI secolo come fare per "conoscere e amare Gesù Cristo e la sua Chiesa": non una ripetizione ma un “simile dissimile”.


Sylvie Barnay, L'Osservatore Romano