Benedetto XVI vola in America Latina, in Messico e a Cuba. E domani, cade il 32° anniversario dell’assassinio di Oscar Arnulfo Romero (foto), l’arcivescovo latinoamericano ucciso mentre celebrava Messa in una piccola cappella d’ospedale di San Salvador. Colui che molti devoti chiamano da tempo "San Romero de America". Per coincidenza, l’ultima volta che Papa Ratzinger parlò dell’indimenticato pastore salvadoregno fu proprio sul volo che le portava in Brasile nel maggio del 2007, in occasione del suo primo viaggio apostolico in un Paese latinoamericano. Quella volta, nel tradizionale incontro ad alta quota con i giornalisti, un inviato francese gli chiese lumi sul processo di Beatificazione di Romero, che ha visto concludere la sua fase diocesana già nel 1996. Il Papa rispose con una piccola apologia del vescovo ucciso, descrivendolo come "un grande testimone della fede" e ricordandone la morte "veramente incredibile" avvenuta davanti all’altare. Non fece riferimento alla categoria del martirio, ma disse a chiare lettere che la persona di Romero "è degna di Beatificazione". Incredibilmente, quelle parole pronunciate dal Papa davanti alle telecamere e a decine di registratori accesi vennero fatte sparire nelle versioni ufficiali dell’intervista pubblicate sui media vaticani. A cinque anni da quel sorprendente ritocco testuale, si può dire che di fatto la fase romana del processo di Beatificazione si trova ancora su un binario morto. Ad agire in qualità di postulatore davanti alla Congregazione per le Cause dei Santi è il vescovo di Terni Vincenzo Paglia. E presso il dicastero vaticano l’incarico di relatore della causa è stato affidato al domenicano francese Daniel Ols, che ha seguito anche quella del Beato Giovanni Paolo II. Ma i teologi e gli storici della Congregazione non hanno mai iniziato a por mano al materiale raccolto durante la fase diocesana. La causa di Romero non prende il largo per diversi motivi. Nel caso specifico, un ruolo lo ha giocato il coordinamento richiesto nelle cause di Beatificazione tra Congregazione per le Cause dei Santi e Congregazione per la Dottrina della Fede. Dopo il duemila, l’ex Sant’Uffizio ha iniziato ad esaminare le omelie, il diario e gli scritti pubblici di Romero per attestarne la piena conformità alla dottrina cattolica. In quegli anni, a assumere un ruolo preponderante nella gestione del dossier-Romero, e a spingere perché la causa non andasse avanti, fu in particolare il cardinale colombiano Alfonso Lòpez Trujillo, a quel tempo influente consultore dell’ex Sant’Uffizio, scomparso nel 2008. In quel frangente, alla Congregazione per le Cause dei Santi arrivarono disposizioni orientate in senso dilatorio. E da allora, allo stesso dicastero vaticano non è stata fatta arrivare nessuna contro-indicazione in grado di sbloccare lo stand by e far partire sul serio il processo seguendo i passaggi e le procedure ordinari. E questo nonostante le parole del Papa sulla figura di Romero "degna di Beatificazione". E nonostante anche le ricerche condotte sui testi dell’arcivescovo assassinato non abbiano evidenziato errori di dottrina. Secondo alcuni settori, ancora oggi, portare Romero agli onori degli altari equivarrebbe a beatificare la Teologia della liberazione o addirittura i movimenti popolari d’ispirazione marxista e le guerriglie rivoluzionarie degli anni Settanta. Convinzioni confutate da tempo anche dagli studi dello storico Roberto Morozzo della Rocca, dai quali Romero emerge come un prete devoto e tormentato, che si oppose alla dittatura salvadoregna solo per amore del suo popolo straziato dagli squadroni della morte. In ogni caso, se e quando il processo riprenderà il largo, prevarrebbe addirittura l’orientamento di studiare il pastore assassinato sull’altare come confessore/testimone della fede, e non come martire. Negli ultimi anni il dicastero vaticano per le cause dei Santi ha ribadito con forza che si può parlare di martirio solo quando si viene uccisi dal persecutore 'in odium fidei'. E nel caso di Romero tale motivazione non sarebbe considerata accertabile: sembra prevalere l’idea che ad armare gli assassini, mandanti e esecutori, sia stato soprattutto l’odio contro un personaggio pubblico identificato come nemico politico. A questo riguardo, sorprende il confronto tra la vicenda Romero e quello di Jerzy Popieluszko, il sacerdote 37enne trucidato nel 1984 da un commando dei servizi di sicurezza della Polonia comunista. Oscar Arnulfo, nel Salvador dilaniato dalla guerra civile degli anni Settanta, non appare implicato in forme di militanza diretta come quella che legava Popieluszko al movimento sindacale di Solidarnosc. Nell’eliminazione fisica del prete polacco le motivazioni politiche dei carnefici sono incontrovertibili. Eppure Popieluszko è stato riconosciuto martire 'in odium fidei', e questo ha accelerato l’iter processuale (per la Beatificazione dei martiri non è richiesto l’accertamento canonico di un miracolo realizzato per loro intercessione). Non hanno fatto problema neanche alcuni elementi controversi relativi alle circostanze della morte, come quelli documentati nel prezioso volume di Giovanni Barberini "L’ostpolitik della Santa Sede" (Il Mulino, 2007), dove l’autore ricorda che durante un perquisizione nell’appartamento del sacerdote assassinato fu rivenuto anche materiale esplosivo, "probabilmente collocato dalla stessa polizia politica". Ancora nel 2008 l’allora cardinale primate di Polonia Jòzef Glemp ripeteva che "nonostante i processi, la storia di padre Popieluszko non è del tutto chiara: alcuni particolari sono oscuri". Il prete polacco è stato proclamato Beato a Varsavia, il 6 giugno 2010. La sua causa di Beatificazione era iniziata in Polonia nel febbraio del 1997 ed era arrivata Oltretevere per la sua fase romana nel maggio 2001. Dal 1990 e fino al 2007 è stato segretario del dicastero vaticano per le cause dei Santi il polacco Edward Novak, molto vicino all’Appartamento pontificio di allora.
Gianni Valente, Vatican Insider