sabato 15 settembre 2012

A Bkerké la GMG del Medio Oriente. I giovani del Libano che hanno aspettato per ore Benedetto XVI, tra speranza e inquietudine per il futuro

Hanno sventolato le centinaia di bandiere bianche e gialle del Vaticano che l'organizzazione ha dato loro all'ingresso; hanno ballato per ore sotto il sole, alla musica libanese sparata a tutto volume dagli altoparlanti; hanno battuto le mani e salutato con entusiasmo le centinaia di telecamere arrivate da tutto il mondo. Ma se sono venuti sulla collina di Bkerké è soltanto per un motivo: per vedere il Papa. “È una grande gioia che il Papa sia qua, è stato molto coraggioso a venire in Libano proprio in questo momento”, dice Jeanne, studentessa all'università gesuita di Beirut, la Saint Joseph. Per lei, la cosa più importante è che Benedetto XVI non abbia rinunciato al suo viaggio ad alto rischio in Medio Oriente, malgrado la vicinanza della polveriera siriana e le proteste anti-occidentali che infiammano la regione in questi giorni. “Il fatto che sia venuto dà grande coraggio ai cristiani del Medio Oriente che ne hanno molto bisogno. Il Papa li rende fieri e fa loro sentire che non sono soli, che la Chiesa dell'Occidente sta loro vicino”. Per vedere meglio il Pontefice quando arriverà, si è arrampicata alla struttura in ferro che sostiene uno dei palchi. E non è la sola. A decine, mentre gli uomini dell'organizzazione guardano dall'altra parte, provano a scavalcare le barriere e entrare nella zona riservata alla stampa, per essere in posizione migliore e cogliere uno scorcio di papa Ratzinger. Molti di loro indossano una maglietta da calcio con il nome “Benoit” e il numero 16. Moltissimi altri, la maglietta realizzata per l'arrivo del pontefice dal Cammino Neocatecumenale. Per Masar Louis, sarà il secondo 'incontro' con Benedetto XVI. Nel 2010 ha viaggiato da Erbil, nel Kuridistan iracheno, fino a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù: “Ma quel giorno era lontanissimo, oggi spero di vederlo da più vicino”. Questa volta, a lui e ai suoi 230 compagni, è bastata una notte in pullman. “In Kurdistan – racconta – la vita ora non è difficile per noi. Ma nel resto dell'Iraq sì”, perché i rapimenti dei cristiani continuano. Se gli si chiede della Siria, non nasconde il suo pessimismo: “Ci sono gruppi estremisti che arrivano nel Paese. Sarà molto dura per i cristiani”. Una storia che gli ricorda in maniera preoccupante quella del suo Paese: “Saddam Hussein era un dittatore e molto cattivo ma almeno non uccideva i cristiani”. Per Bashar Assad, evidentemente, vale lo stesso discorso. Chissà se i giovani arrivati dalla Siria la pensano allo stesso modo. Ma, diversamente dai loro fratelli iracheni, non sventolano con fierezza le bandiere del loro Paese; in mezzo alle circa 20mila persone che affollano la spianata del Patriarcato maronita, è impossibile rintracciarli. Ma su tutti loro, anche quelli del Libano dove un tempo erano maggioranza e ora non più, pesa lo spettro di un futuro incerto in una regione che a volta sembra loro destinata a diventare sempre più ostile. “Questi giovani”, dice il patriarca maronia Bechara Rai, sono “assetati di speranza” ma mentre attorno a loro tutto cambia sempre più in fretta, sono presi dalla “inquietudine”: “Sopportano crisi politiche, sociali, economiche e culturali che intaccano la loro fede e conducono alcuni alla perdita... del loro radicamento nelle loro terre e Chiese”. Il Papa arriva proprio mentre il sole inizia a tramontare nel mare dietro il palazzo del Patriarcato. I giovani di Benedetto XVI, raddoppiano i canti mentre la calura si allenta. Gli portano doni, gli raccontano doni, intonano antiche litanie e inni modernissimi. Alla fine, una ventina di loro innalza una croce e raccontano le loro storie. “Vogliamo restare legati all'Oriente, radicati nella nostra terra – dicono dal palco –, non per fanatismo ma per conservare l'unicità di questa parte di mondo”.

Alessandro Speciale, Vatican Insider