I leaks sul nuovo prefetto della Casa Pontifica non esistono. Nessuna fuga di notizie. Nessuna anticipazione sul nome prima che esso diventi ufficiale. Solo tante ipotesi che si rincorrono, molto spesso tutte prive di ogni fondamento. Semplicemente perché il nome è da tempo solo nel cuore e nella mente di Benedetto XVI. Sicuramente il Papa, e solo lui, lo conosce da più di un mese, cioè da quando annunciò di voler creare sei nuovi cardinali nel mini Concistoro del 24 novembre scorso e soprattutto di nominare l’ormai ex Prefetto della Casa Pontificia, l’americano James Michael Harvey (foto), arciprete della Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura.
Benedetto XVI aveva già il quadro chiaro davanti ai suoi occhi e non aveva certo bisogno di condividerlo con altri. Ecco allora che se esistono i Vatileaks, emersi con tutta la loro ferocia nel libro del giornalista Gianluigi Nuzzi "Sua Santità", non esistono i Papaleaks. E Benedetto XVI i segreti pontifici li sa tenere. "Ormai le nomine dei vescovi si sanno in anticipo - racconta un anziano presule - ed è abbastanza ovvio che a diffonderle sono proprio i successori degli apostoli che non sanno tenere più un cecio in bocca. Quando arriva dalla Nunziatura Apostolica la doppia busta con la nomina di un nuovo vescovo o il trasferimento di un presule dalla guida di una diocesi a un’altra spesso la prima cosa che fa il destinatario non è pregare, come dovrebbe essere, per il nuovo confratello nell’episcopato e affidarlo così alla misericordia del Signore perché sia saggio nella guida del popolo a lui affidato. No, la prima cosa - racconta ancora il presule - è telefonare a qualcuno per spifferare il contenuto della lettera, anticipando l’ufficialità della Santa Sede e violando il segreto pontificio. Ma nessuno, anche e soprattutto nella Chiesa, ha più paura di nulla. Nemmeno del giudizio di Dio".
Benedetto XVI non è nuovo a questo scenario. Sa che gli attacchi peggiori nel corso di più di sette anni e mezzo di pontificato gli sono arrivati proprio da coloro che sono dentro la Chiesa dove, come ha scritto in una celebre lettera inviata a tutti i vescovi della terra, spesso ci si morde e ci si divora a vicenda. E anche il Papa, ricordava sempre Joseph Ratzinger in quel testo, non è immune dal perdere "il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo".
Benedetto XVI non si illude che sia tutto rose e fiori. "In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito - ha affermato l’11 ottobre scorso - che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato".
Papa Ratzinger sa che non è così. E lo ha sottolineato nella sua intensa trilogia su Gesù di Nazaret. Sa che la promozione umana è il fine di quel Dio che per i cristiani si fa bambino nella culla di Betlemme, si fa povero e prossimo a tutti. Si fa testimone di quella cattolicità e di quella umiltà che Benedetto XVI indica come unica strada per vivere con coerenza nella Chiesa il messaggio evangelico. Una via che vale per i cardinali, come egli stesso ha affermato con forza nel suo ultimo Concistoro, la settimana scorsa, per i vescovi e i sacerdoti e per i laici. Un cammino da iniziare nuovamente ogni giorno.
Francesco Grana, Orticalab
Francesco Grana, Orticalab