Il Concilio Vaticano II, e
la sua "corretta interpretazione", è e
resta "il punto di riferimento essenziale" per la missione della Chiesa
oggi. È quanto ha ribadito il cardinale
presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani, Kurt Koch. In un’intervista
rilasciata nei giorni scorsi ad
Armin Schwibach dell’agenzia cattolica
austriaca Kath.net, il porporato
ha affrontato il tema della riforma
liturgica. In particolare, ha chiarito
il senso di quella che ormai da diverse
parti viene denominata come
la "riforma della riforma". Una definizione,
precisa, che «non può
avere altro scopo che quello di risvegliare
l'autentico patrimonio del
concilio e di renderlo fruttuoso nella
situazione della Chiesa oggi". In
questo senso, viene inoltre sottolineato,
"la questione della riforma liturgica
è strettamente connessa con
la questione della corretta interpretazione
del Concilio".
Il porporato nelle prime battute
dell’intervista si sofferma sul significato
dell’Anno della fede voluto da
Benedetto XVI, tracciando un importante
parallelismo con quello voluto
a suo tempo da Paolo VI, "vedo più somiglianze che differenze", rilevando come per entrambi
i Pontefici il Concilio Vaticano II sia
il "punto di riferimento essenziale".
Così, se per Papa Montini l’Anno
della fede fu una "conseguenza del
Concilio" e l’opportunità per richiamare
l’urgenza della "confessione
della vera fede cattolica" di fronte
ai "gravi problemi" del tempo, per
Papa Ratzinger l’Anno della fede è
collegato al cinquantesimo anniversario
dell’apertura del Vaticano II,
"al fine di realizzare le principali
preoccupazioni di questo Concilio".
E, quanto ai compiti ecumenici affidatigli
dal Santo Padre, il card.
Koch sottolinea come l’Anno della
fede significhi il richiamo a una
"nuova consapevolezza che l’unità
tra i cristiani può essere trovata solo
se si riflette insieme sui fondamenti
della fede". Anche perché, i "deserti
del mondo di oggi" di cui parla il
Papa e la scarsa incidenza della fede
cristiana nella società attuale "influenzano
tutte le Chiese cristiane e
le comunità ecclesiali".
Quanto poi alla riforma liturgica
della Chiesa Cattolica, tema seguito
con attenzione anche dalle altre
Chiese e comunità ecclesiali, il porporato
non ha mancato di rilevare
l’"uso inflazionato" proprio del termine
riforma. E, per sgombrare il
campo da ogni strumentalizzazione,
si è domandato quale sia il suo giusto
significato. Ci si trova, ha detto,
di fronte a un’"alternativa fondamentale". Infatti, se per riforma
s’intende "una rottura con la storia
passata", questa "non è più una riforma". Al contrario, intesa nel suo
"significato letterale", la riforma liturgica
trae il suo significato "da
quella forma fondamentale del servizio
del culto cristiano che è prescritta
dalla tradizione della Chiesa". Di fatto, però, "la riforma della
liturgia dopo il Concilio è stata spesso
considerata e realizzata con
un’ermeneutica della discontinuità e
della rottura", considerando soprattutto
il fatto che essa è "centrata sul
mistero pasquale della morte e risurrezione
di Cristo". Tuttavia, "Papa
Benedetto XVI, già quando era cardinale,
ha giudicato che la maggior
parte dei problemi nello sviluppo
post-conciliare della liturgia è collegata
al fatto che l’approccio del Concilio a questo mistero fondamentale
non sia stato tenuto sufficientemente
in considerazione".
L'Osservatore Romano
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