lunedì 7 gennaio 2013

L'udienza di Benedetto XVI al Corpo diplomatico. Giovagnoli: l'alto numero di Stati che vogliono avere rapporti con il più piccolo Stato del mondo è molto significativo del prestigio morale di cui gode la Santa Sede e naturalmente il Papa, in particolare. Punto di arrivo di una lunga storia

Oggi alle 11.00 nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Papa Benedetto XVI riceve in udienza il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri di inizio anno. Attualmente sono 179 gli Stati con cui la Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche piene, alle quali si aggiunge la presenza in varie Organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu, in cui la Città del Vaticano è Stato osservatore. Sul significato della diplomazia vaticana, e sul relativo impegno a favore della pace, è intervenuto Agostino Giovagnoli, professore ordinario e storico dell’Università cattolica, ai microfoni di Radio Vaticana: "Questo alto numero di Stati che vogliono avere rapporti con il più piccolo Stato del mondo è molto significativo del prestigio morale di cui gode la Santa Sede e naturalmente il Papa, in particolare. Mi pare che sia il punto di arrivo di una lunga storia". Storia "che è iniziata in età moderna quando la figura del Papa è stata definita sempre più frequentemente la figura del 'padre comune': padre comune perché interessato alle sorti di tutti i popoli e non a quelli di qualcuno contro altri. E proprio sulla figura del padre comune si è cominciato a sviluppare quella diplomazia della Santa Sede che è stata fin dalle origini una diplomazia di pace. Il Papa cioè interveniva nelle lotte fra gli Stati per cercare di favorire la pace. Questo ruolo si è poi ampliato quando il Papa ha perso il potere temporale e da questo punto di vista è stato un grande vantaggio, perché paradossalmente la perdita del potere temporale ha accresciuto di molto il prestigio morale del Papa". Dunque, la diplomazia vaticana "è del tutto singolare perché non è a difesa di interessi politici ed economici di uno Stato ma in realtà è nell’interesse del mondo intero". Soffermandosi poi sulla presenza dello Stato Vaticano negli enti internazionali, Giovagnoli ha affermato: "La qualifica di osservatore è sembrata inizialmente una qualifica riduttiva. In realtà, oggi, anche dal punto di vista della Santa Sede, la qualifica di osservatore è estremamente vantaggiosa perché permette alla Santa Sede di intervenire su molte questioni importanti negli organismi internazionali senza doversi assumere responsabilità improprie come potrebbero essere e come sono a volte anche le responsabilità, per esempio, delle Nazioni Unite riguardo a interventi militari o simili. In questo si evidenzia ancora di più il ruolo di pace che svolge questa diplomazia". Infine, alcune considerazioni sui rapporti con la Cina e sulle parole augurali rivolte dal Papa nel Messaggio "Urbi et Orbi" di Natale alla nuova leadership cinese: "Si tratta di una novità di grande interesse. Generalmente i Pontefici negli ultimi decenni si sono ovviamente rivolti ai cattolici in Cina, molto spesso si sono rivolti al popolo cinese, ma non si registrano messaggi diretti alla dirigenza, all’autorità della Repubblica popolare cinese, tanto più in un momento così importante come il Messaggio 'Urbi et orbi' di Natale. E non è un fatto isolato – ha sottolineato - Qualche mese fa, infatti, il card. Filoni ha scritto un articolo sulla opportunità di rapporti diretti tra la Santa Sede e il governo cinese, quantomeno in via preliminare. Anche in questo campo si assiste a un’offensiva diplomatica della Santa Sede e del Papa stesso, offensiva naturalmente in senso buono, per sviluppare anche in questa direzione i rapporti di reciproco rispetto e di collaborazione".

Domenico Agasso jr, Vatican Insider