sabato 24 gennaio 2009

Revoca della scomunica ai lefebvriani. Le ennesime "minacce" al dialogo degli ebrei e le inutili precisazioni dei vescovi europei

Con la revoca della scomunica ai lefebvriani - tra di essi il vescovo Richard Williamson, che ha di recente negato la Shoah - il Vaticano "minaccia il futuro della storica riconciliazione tra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico". Lo sostiene il rabbino capo David Rosen (nella foto con Benedetto XVI), presidente dell'International Jewish Committee for Inter-religious Consultations (Ijcic) e direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell'American Jewish Committee (Ajc). "Giovanni Paolo II - afferma Rosen interpellato in Israele per un commento - ha definito l'antisemitismo un peccato contro Dio. La negazione della traboccante documentazione circostanziata della Shoah è antisemitismo nel modo più sfacciato. Nell'accogliere un negazionista nella Chiesa cattolica senza alcuna ritrattazione da parte sua, il Vaticano si è fatto beffa del ripudio e della condanna commovente e impressionante dell'antisemitismo fatta da Giovanni Paolo II. Spero ardentemente - conclude - che il Vaticano affronterà con urgenza questa materia, nel momento in cui minaccia il futuro della storica riconciliazione tra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico". In una intervista di inizio novembre alla televisione svedese Svt, Williamson - uno dei quattro vescovi lefebvriani a cui Benedetto XVI ha revocato la scomunica - ha affermato: "Io credo che le camere a gas non siano mai esistite...penso che dai 200mila ai 300mila ebrei siano morti nei campi di concentramento, ma nessuno nelle camere a gas". Il superiore della Fraternità sacerdotale San Pio X, monsignor Bernard Fellay, ha precisato che si trattava di "private opinioni". Dopo che alcune fughe di notizia avevano preannunciato, alcuni giorni fa, la revoca della scomunica ai lefebvriani, la stessa Commissione ebraica internazionale per le consultazioni interreligiose ha espresso, con una nota, "la propria profonda preoccupazione per le notizie relative all'incombente revoca della scomunica per quattro vescovi del movimento dell'arcivescovo Lefebvre, che erano stati allontanati dalla Chiesa. Questi vescovi sono stati scomunicati nel 1988 per la loro opposizione al Concilio vaticano II, specialmente per la prosecuzione delle relazioni interreligiose con i protestanti, gli ebrei e i musulmani. Mentre questa riconciliazione è una materia interna della Chiesa cattolica - spiegava Rosen - noi siamo profondamente preoccupati da ogni abbraccio ad un negazionista dell'olocausto da parte del Vaticano. Chiediamo urgentemente al Vaticano di ribadire il proprio categorico ripudio e condanna di ogni e tutti coloro che negano l'olocausto". Il rabbino Rosen è stato di recente ricevuto in Vaticano dal Papa alla testa di una delegazione della Ijcic, che è interlocutrice della Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo guidata dal card. Walter Kasper.
Il decreto di revoca della scomunica dei lefebvriani è un gesto voluto dal Papa per promuovere l'unità della Chiesa e non va inteso come un avallo a dimenticare il Concilio Vaticano II: è quanto, in sostanza, puntualizzano alcuni dei principali episcopati europei. "Il Papa mostra la possibilità del ritorno nella piena comunità con la Chiesa Cattolica e non lascia al contempo alcun dubbio sul fatto che le conclusioni del Concilio Vaticano II sono un fondamento irrinunciabile per la vita della Chiesa", puntualizza in una nota il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, mons. Robert Zollitsch. "Papa Benedetto XVI tende la mano alla Fraternità sacerdotale Pio X. Con lui io spero e prego che essa venga afferrata". Sulla stessa linea il presidente dei vescovi francesi. "Ogni volta che la Chiesa sospende una pena io me ne rallegro", spiega il card. André Vingt-Trois in un'intervista pubblicata sul sito della Conferenza Episcopale. "E' un'opportunità, una porta aperta, per permettere a dei cristiani di ritrovare la pienezza della comunione con la Chiesa. A condizione - aggiunge l'arcivescovo di Parigi - che essi lo desiderino o l'accettino. E' un gesto di apertura per fortificare l'unità della Chiesa". Il porporato precisa, poi, che "delle persone che, in maggior parte, si presentano sinceramente come i difensori della Tradizione, si danno il potere magisteriale di distinguere la buona Tradizione dalla cattiva Tradizione. Ma un tale atto di discernimento non può che essere un atto della Chiesa, non quello di un gruppo particolare della Chiesa". Il presidente dei vescovi svizzeri rincara la dose. "Nella sua decisione - afferma in una nota mons. Kurt Koch - Papa Benedetto XVI è stato guidato dalla convinzione che dopo il riconoscimento del Magistero e dell'autorità del Papa vi sono buone prospettive che i pendenti colloqui sulle questioni ancora irrisolte dell'eredità vincolante del Concilio Vaticano II possano giungere a buon fine. In questo modo la piena riconciliazione deve trovare la sua visibile espressione nella piena comunione sulla base di una fede comuna. Spero e prego - conclude il capo dei vescovi svizzeri - che questa riconciliazione avrà luogo".