Asca, Radio Vaticana
venerdì 26 marzo 2010
Padre Cantalamessa: il tradimento di alcuni preti è la prova più dura che la Chiesa attraversa. Occorre un sussulto di speranza e una purificazione
''Se ci sarà umiltà, la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra! L'accanimento dei media - lo vediamo anche in altri casi - a lungo andare ottiene l'effetto contrario a quello da essi desiderato'': ha fatto riferimento allo scandalo pedofilia che in questi giorni sta colpendo la Chiesa il predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, durante la terza predica di Quaresima in vista della Pasqua che ha tenuto questa mattina nella Cappella Redemptoris Mater di fronte a Papa Benedetto XVI e alla Curia romana. Il frate cappuccino ha trattato il tema della ''necessità di una purificazione all'interno della Chiesa, a partire dal suo clero'' ed ha criticato ''il tradimento della fiducia di Cristo e della Chiesa, la doppia vita, il venir meno ai doveri del proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità. appiamo per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo tipo di infedeltà. E' la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo momento''. Per il predicatore del Papa, sono ''la tiepidezza di una parte del clero, la mancanza di zelo e l'inerzia apostolica'' a ''indebolire la Chiesa più ancora degli scandali occasionali di alcuni sacerdoti che fanno più chiasso e contro i quali è più facile correre ai ripari''. Padre Cantalamessa ha citato il profeta Geremia: ''Il Signore è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca. E' bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Porga la guancia a chi lo percuote, si sazi pure di offese!''. Il cappuccino ha anche ricordato quando, nel 2001, si era trovato ''a predicare un ritiro al clero di una diocesi americana scosso dalla reazione indiscriminata dell'opinione pubblica di fronte agli scandali di alcuni dei loro membri'': ''Si era all'indomani del crollo delle Torri Gemelle - ha osservato Cantalamessa - e le macerie materiali sembravano il simbolo di altre macerie. Questo testo della Scrittura contribuì visibilmente a ridare fiducia e speranza a molti''. “Non si deve generalizzare, per carità: la Chiesa di oggi è ricca di sacerdoti santi che compiono silenziosamente il loro dovere. In linea generale, chi conosce un po’ la storia della Chiesa sa che il livello del clero di oggi è molto migliore di quello di altre epoche della Chiesa. Un laico impegnato mi diceva con tristezza: ‘La popolazione del nostro Paese, negli ultimi 20 anni è cresciuta di oltre tre milioni di abitanti, ma noi cattolici siamo fermi al numero di prima. Qualcosa non va nella nostra Chiesa’. Conoscendo quel clero per aver predicato, sapevo che qualcosa non andava: la preoccupazione di molti di loro non erano le anime, ma i soldi e le comodità”. A sostegno di questa disamina senza giri di parole, che ha delineato per contrasto la sobrietà di gesti e parole che deve essere propria di un sacerdote, padre Cantalamessa ha portato l’esempio di Santa Teresa d’Avila che, nei suoi scritti, confessa di aver cercato di coniugare forzatamente per un certo tempo le cose di Dio con quelle del mondo, condannandosi in sostanza all’infelicità. Scriveva la grande mistica: “‘Cadevo e mi rialzavo, ma mi rialzavo così male che tornavo a cadere...Posso dire che la mia vita era delle più penose che si possano immaginare, perché non godevo di Dio né mi sentivo contenta del mondo. Quando ero nei passatempi mondani il pensiero di quello che dovevo a Dio me li faceva trascorrere con pena e quando ero con Dio mi venivano a disturbare gli effetti del mondo’. Molti sacerdoti penso potrebbero scoprire in quest’analisi il motivo profondo della propria insoddisfazione e scontentezza”. E proseguendo con la meditazione sulle altre possibili cause di crisi di una vocazione, dalla tentazione del denaro all’indifferenza verso le anime, barattata con la preferenza per le comodità, padre Cantalamessa ha riconosciuto alle aggregazioni ecclesiali di laici quelle capacità di zelo che talvolta difettano ai sacerdoti. Dobbiamo essere, ha esclamato, “modelli del gregge” e non i “padroni della fede”, poveri come lo fu il Santo Curato d’Ars, capaci di farsi scomodare dalle esigenze dell’apostolato non cedendo alla tentazione, ha insistito, di tenere Cristo “in libertà vigilata”: preghiera sì, “ma che non comprometta il riposo”, obbedienza a Dio che però “non abusi della disponibilità” del prete, castità che però non imponga la rinuncia “ad avere un’idea di ciò che succede nel mondo”. E rovesciando la frase di Cristo “io sto alla porta e busso”, ha soggiunto: “In noi sacerdoti Cristo non bussa per entrare, ma per uscire. Nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo, ma può succedere che questo Spirito finisca per essere come imprigionato e murato dal cuore di pietra che gli si forma intorno, non ha la possibilità di espandersi e permeare di sé le facoltà, le azioni, i sentimenti della persona. Quando leggiamo la frase di Cristo: 'Io sto alla porta e busso', dovremmo perciò capire che Egli non bussa dall’esterno, per entrare, ma bussa dall’interno per uscire”. La meditazione, introdotta dalla citazione del lamento di Geremia, che disilluso del suo sacerdozio sceglie inizialmente di voltare le spalle a Dio, è stata conclusa da padre Cantalamessa con le parole che lo stesso Geremia scopre dentro di sé quando comprende che Dio non lo abbandonerà se lui sarà capace di convertirsi. E’ di questa consapevolezza, di questa solidità di fede, ha concluso il predicatore francescano, che il Papa e la Chiesa hanno bisogno in questa delicata e sofferta fase: “Quello che occorre, in questo momento, è un sussulto di speranza...Cristo soffre più di noi per l’umiliazione dei suoi sacerdoti e l’afflizione della sua Chiesa. Se lo permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire in vista di una maggiore purezza della Chiesa...L’invito di Cristo ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò’ sappiamo che era rivolto in primo luogo ai discepoli, agli Apostoli che aveva intorno, e dunque oggi a noi sacerdoti. A noi dice: ‘Venite a me, a me, non a voi stessi, alle vostre risorse. Venite a me e troverete ristoro’”.