Una Santa del Medioevo che amò Cristo e servì la Chiesa in un tempo in cui, come oggi, essa è ferita dai peccati “dei suoi preti e dei suoi laici”: con queste parole Benedetto XVI ha concluso una prima catechesi dedicata a Ildegarda di Bingen, monaca claustrale tedesca vissuta nel primo secolo dell’anno Mille. Le ultime parole escono di getto dal cuore del Papa e danno il “tono” a una catechesi tornata a scandagliare le ricchezze spirituali della Chiesa dell’anno mille, antica eppure straordinariamente attuale. Ildegarda di Bingen, modello ante litteram di quel “genio femminile” che Giovanni Paolo II celebrò compiutamente nella "Mulieris dignitatem": donne cioè che edificarono la Chiesa talvolta, sopperendo alle mancanze, anche gravi, della sua gerarchia, come fece Ildegarda “con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il Creato...il suo amore per Cristo e per la sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come Corpo di Cristo”. Benedetto XVI ha fornito un primo ritratto della religiosa vissuta nella Germania del XII secolo, tra il 1098 e il 1179. Pienamente aderente alla fisionomia di quelle donne, come scrisse nel 1988 Papa Wojtyla, che hanno svolto e svolgono un “ruolo prezioso” nella vita della Chiesa, Ildegarda di Bingen si distinse almeno per due aspetti: come superiora del monastero di San Disibodo, dove fu avviata fin da giovanissima e dove succedette a quella che per tanti anni fu la sua maestra suor Giuditta, e come mistica, capace di vivere con umiltà e senso di sottomissione lo straordinario dono delle visioni interiori. Nel suo ruolo di superiora del monastero claustrale, ha notato Benedetto XVI, mise a frutto “le sue doti di donna colta, spiritualmente elevata e capace di affrontare con competenza gli aspetti organizzativi della vita claustrale...Lo stile con cui esercitava il ministero dell’autorità è esemplare per ogni comunità religiosa: esso suscitava una santa emulazione nella pratica del bene, tanto che, come risulta da testimonianze del tempo, la madre e le figlie gareggiavano nello stimarsi e nel servirsi a vicenda”. Durante i suoi anni a capo del monastero, Ildegarda ebbe delle visioni mistiche che confidò al suo consigliere spirituale e a una consorella e le guadagnarono nel tempo l’appellativo di “profetessa teutonica”. “Come sempre accade nella vita dei veri mistici – ha affermato il Papa – anche Ildegarda volle sottomettersi all’autorità di persone sapienti per discernere l’origine delle sue visioni, temendo che esse fossero frutto di illusioni e che non venissero da Dio”. Lo fece rivolgendosi a una delle massime personalità della Chiesa del suo tempo, San Bernardo di Chiaravalle, che la incoraggiò, e ricevendo in seguito un’altra approvazione da Papa Eugenio III, il quale, ha spiegato il Pontefice, lesse durante un sinodo a Treviri un testo dettato da Ildegarda per poi autorizzare la mistica a scrivere le sue visioni e a parlare in pubblico: “È questo, cari amici, il sigillo di un’esperienza autentica dello Spirito Santo, sorgente di ogni carisma: la persona depositaria di doni soprannaturali non se ne vanta mai, non li ostenta e, soprattutto, mostra totale obbedienza all’autorità ecclesiastica. Ogni dono distribuito dallo Spirito Santo, infatti, è destinato all’edificazione della Chiesa, e la Chiesa, attraverso i suoi Pastori, ne riconosce l’autenticità”.
Ansa, Radio Vaticana
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa