Udienza Generale questa mattina in Piazza San Pietro, dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nella catechesi, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.
“Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato, ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, di affrontare per amore nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione, affinché in Lui e per Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace”. Il Papa ha esortato “ad accogliere questo mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo Pasquale”, “a cercare in questi giorni il raccoglimento e la preghiera” e a “celebrare il sacramento della Riconciliazione”. Il Giovedì Santo, ha ricordato il Pontefice, “è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale”. Nella mattina, "ciascuna comunità diocesana, radunata nella Chiesa Cattedrale attorno al vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro Crisma, l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi". "La salvezza - ha affermato il Papa -, trasmessa dai segni sacramentali, scaturisca proprio dal Mistero pasquale di Cristo; infatti, noi siamo redenti con la sua morte e risurrezione e, mediante i Sacramenti, attingiamo a quella medesima sorgente salvifica. Durante la Messa crismale - ha detto ancora Benedetto XVI - avviene anche il rinnovo delle promesse sacerdotali. Nel mondo intero, ogni sacerdote rinnova gli impegni che si è assunto nel giorno dell’Ordinazione, per essere totalmente consacrato a Cristo nell’esercizio del sacro ministero a servizio dei fratelli. Accompagniamo i nostri sacerdoti con la preghiera”. Nel pomeriggio la memoria dell’Ultima Cena, “nella quale Gesù istituì il Memoriale della sua Pasqua”. Nel cenacolo, “consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre sé stesso per la nostra salvezza. Pronunciando la benedizione sul pane e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato”. Il Giovedì Santo, ha ricordato Benedetto XVI, “si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Lasciato il cenacolo, Egli si ritirò a pregare, da solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano che Gesù sperimentò una sofferenza tale da fargli sudare sangue. Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente grande angoscia”. In questa situazione “appare anche un elemento di grande importanza per tutta la Chiesa”, ha detto il Papa: Gesù dice ai suoi discepoli di “rimanere e vigilare. Questo appello alla vigilanza concerne non solo il momento in cui arriverà Giuda il traditore, ma “tutta la storia della Chiesa. È un messaggio permanente per tutti i tempi”. Ma in cosa consiste la sonnolenza e in cosa la vigilanza alla quale il Signore ci invita? “La sonnolenza dei discepoli lungo la storia – ha spiegato il Pontefice - è una certa insensibilità dell’anima per il potere del male, un’insensibilità per tutto il male del mondo, non vogliamo farci turbare da queste cose”, pensando che “non sarà troppo grave” e così “dimentichiamo”. Non è solo “insensibilità per il male” di fronte alla quale dovremmo invece svegliarci “per fare il bene, per lottare per la forza del bene. È insensibilità verso la presenza di Dio”. “Questa – ha chiarito Benedetto XVI - è la nostra sonnolenza, che ci rende insensibili anche al male. Non sentiamo Dio, ci disturberebbe, e non sentiamo neanche la forza del male e rimaniamo sulla strada della nostra comodità”. L’adorazione notturna del Giovedì Santo dovrebbe essere, per Benedetto XVI, “il momento di pensare alla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù, degli apostoli, di noi che non vogliamo vedere tutta la forza del male e che non vogliamo entrare nella Sua Passione per il bene, per la presenza di Dio nel mondo, per l’amore del prossimo e di Dio”. Al Getsemani Gesù, nella sua preghiera, ripete un ritornello: “Sia realizzata non la mia volontà, ma la tua”. C’è la “volontà della natura umana” di Cristo che vorrebbe che “sia risparmiato il calice della sofferenza”, Gesù “sente l’abisso della morte, il terrore del niente, sente con la morte tutta la sofferenza dell’umanità, sente che tutto questo è il calice che deve bere, accettare in sé il male del mondo. Possiamo capire come Gesù con la sua anima umana è terrorizzato davanti a questa realtà che percepisce in tutta la sua crudeltà”. Ma la volontà di Gesù “è subordinata a quella di Dio, che è anche la vera volontà del Figlio e così Gesù trasforma l’avversione naturale contro il calice in un sì alla volontà di Dio”. “L’uomo di per sé – ha osservato Benedetto XVI - è tentato di opporsi alla volontà di Dio e di seguire solo la sua volontà, di sentirsi libero solo se autonomo, ma questa autonomia è sbagliata e entrare nella volontà di Dio non è una schiavitù che violenta la mia volontà ma è entrare nella verità, nell’amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà che si oppone alla volontà di Dio, questo è il dramma della nostra redenzione”. “In questa trasformazione dal no al sì, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre – ha proseguito il Papa - Gesù ci redime”. Un elemento della preghiera di Gesù al Getsemani è il rivolgersi al Padre “con la parola Abbà, è una formula familiare. Egli parla come Figlio con il Padre, vediamo il mistero trinitario” che “redime l’umanità”. Nella Lettera agli Ebrei di San Paolo, “c’è una profonda interpretazione di questo dramma del Getsemani. Questa non è una concessione alla debolezza della carne, così si realizza l’incarico del Sommo Sacerdote perché Egli deve portare l’essere umano con tutti i suoi problemi e sofferenze all’altezza di Dio” e “apre così il cielo e la porta alla resurrezione”. Nel dramma del Getsemani, ha sottolineato il Pontefice, “possiamo vedere il grande contrasto tra l’angoscia di Gesù e il filosofo Socrate che resta imperturbabile di fronte alla morte”. Potrebbe sembrare questo l’ideale, ha ammesso Benedetto XVI, “ma la missione di Gesù era un’altra: non era la totale indifferenza e libertà, ma era portare in sé tutta la nostra sofferenza; l’umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell’Uomo Dio, che porta in sé la nostra sofferenza e povertà e la trasforma secondo la volontà di Dio. E così apre le porte del cielo”. Il Venerdì Santo, ha aggiunto, “faremo memoria della passione e della morte del Signore”, mentre “nella notte del Sabato Santo, celebreremo la solenne Veglia Pasquale”, nella quale “ci è annunciata la risurrezione di Cristo”. “Abbiamo cercato di comprendere lo stato d’animo con cui Gesù ha vissuto il momento della prova estrema – ha sottolineato il Papa -, per cogliere ciò che orientava il suo agire. Il criterio che ha guidato ogni scelta di Gesù durante tutta la sua vita è stata la sua ferma volontà di amare il Padre e di essergli fedele; questa decisione di corrispondere al suo amore lo ha spinto ad abbracciare, in ogni singola circostanza, il progetto del Padre, a fare proprio il disegno di amore affidatogli di ricapitolare ogni cosa in Lui, per ricondurre a Lui ogni cosa”. “Nel rivivere il santo Triduo – è stato l’invito -, disponiamoci ad accogliere anche noi nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che in essa, anche se appare dura, si trova il nostro vero bene, la via della vita”.
SIR, Radio Vaticana
L’UDIENZA GENERALE - il testo integrale della catechesi e dei saluti del Papa