Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha conferito per la prima volta il "Premio Ratzinger" istituito dalla "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI" a tre studiosi di teologia, il prof. Manlio Simonetti, italiano, laico, studioso di Letteratura cristiana antica e Patrologia, il prof. Olegario González de Cardedal, sacerdote spagnolo, docente di Teologia sistematica, il prof. Maximilian Heim, cistercense, tedesco, Abate del Monastero di Heiligenkreuz in Austria e docente di Teologia fondamentale e dogmatica.
All’inizio del suo discorso il Papa ha voluto ricordare i meriti dei premiati esprimendo "gioia e gratitudine" per il fatto che, con la consegna del suo premio teologico, la Fondazione che porta il suo nome dà "pubblico riconoscimento all'opera condotta nell'arco di un'intera vita da due grandi teologi, e ad un teologo della generazione piu' giovane dia un segno di incoraggiamento per progredire sul cammino intrapreso". "Con il professor Gonzalez de Cardedal - ha ricordato - mi lega un cammino comune di molti decenni. Entrambi abbiamo iniziato con San Bonaventura e da lui ci siamo lasciati indicare la direzione". "In una lunga vita di studioso, il professor Gonzalez - sono state le parole di Benedetto XVI - ha trattato tutti i grandi temi della teologia, e ciò non semplicemente riflettendone e parlandone a tavolino, bensì sempre confrontato al dramma del nostro tempo, vivendo e anche soffrendo in modo del tutto personale le grandi questioni della fede e con ciò le questioni dell'uomo d'oggi. In tal modo, la parola della fede non è una cosa del passato; nelle sue opere diventa veramente a noi contemporanea". "Il professor Simonetti - ha detto ancora il Pontefice - ci ha aperto in modo nuovo il mondo dei Padri. Proprio mostrandoci, dal punto di vista storico, con precisione e cura ciò che dicono i Padri, essi diventano persone a noi contemporanee, che parlano con noi". Infine ha sottolineato che "il padre Maximilian Heim è stato recentemente eletto abate del monastero di Heiligenkreuz presso Vienna - un monastero ricco di tradizione - assumendo con ciò il compito di rendere attuale una grande storia e di condurla verso il futuro".
"In questo - ha concluso Papa Benedetto - spero che il lavoro sulla mia teologia, che egli ci ha donato, possa essergli utile e che l'Abbazia di Heiligenkreuz possa, in questo nostro tempo, sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l'insieme della teologia occidentale". Che cos’è veramente la teologia? Si è chiesto poi Benedetto XVI, cogliendo l’occasione per offrire una dotta dissertazione. “La teologia”, ha premesso, secondo la tradizione “è scienza della fede”. “Ma qui sorge subito la domanda: è davvero possibile? O non è questo in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?". “Questioni”, queste, che “già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema”, ma che “con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione”. “Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio”: con questa affermazione Benedetto XVI ha spiegato la necessità di non relegare la teologia soltanto al “campo della storia”, operazione che tuttavia ha consentito di realizzare “opere grandiose”. Concentrarsi, invece, “sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita”, per il Papa “è importante, ma se la prassi è riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento”. “E’ vero ciò in cui crediamo oppure no?”: questa, per il Santo padre, la “vera domanda”, perché “nella teologia è in gioco la questione circa la verità”, che è “il suo fondamento ultimo ed essenziale”. “Se Cristo è il Logos, la verità – ha spiegato il Papa - l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità”. “La fede cristiana, per la sua stessa natura – ha detto il Pontefice - deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata”. “Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede, la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande”, ha fatto notare il Papa, che sulla scorta di San Bonaventura si è soffermato su “un duplice uso della ragione”: il “dispotismo della ragione”, che “si fa giudice supremo di tutto” ed il cui uso “è certamente impossibile nell’ambito della fede”, e un secondo uso della ragione, che “vale per l’ambito del ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini”, conciliabile invece con l’ambito della fede. Il primo uso della ragione può essere sintetizzato, ha affermato il Papa, con “un procedimento di prova sperimentale”: una “modalità”, cioè, di uso della ragione, che “nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali”. “La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica”, partendo dalla convinzione che “ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico”.
“Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose”, ha ammesso il Papa, definendola “giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi”: tuttavia, esiste “un limite a tale uso della ragione”, poiché “Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”. Dio “è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”. In questa prospettiva, Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione: “L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro”. Per questo, i Padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, “hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, nei filosofi: in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio”. “Quando non c’è questo uso della ragione – ha affermato il Santo Padre - allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino”. Fa quindi parte della teologia, ha concluso il Pontefice, “da un lato, l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro, la disciplina che si lega all’ordine della ragione, preserva l’amore dalla cecità ed aiuta a sviluppare la sua forza visiva”. Ha concluso Benedetto XVI, questa la sfida insita nella teologia, di cui l’uomo ha bisogno:“perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio".
Agi, SIR, Radio Vaticana
CONFERIMENTO DEL "PREMIO RATZINGER" - il testo integrale del discorso del Papa