Non è un caso che la notizia delle dimissioni del card. Attilio Nicora dalla presidenza dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, con in calce la nota divulgata dalla Sala stampa vaticana che spiega che il cardinale ambrosiano lascia l’Apsa “per poter dedicarsi in modo esclusivo alla conduzione” della nuova Istituzione eretta dal Papa il 30 dicembre 2010, ovvero l’Autorità di Informazione Finanziaria che supervisiona tutti gli organi con competenze finanziarie della Santa Sede, arrivi nei giorni in cui viene alla luce il braccio di ferro durissimo che la segreteria di stato vaticana sta portando avanti da mesi con la curia milanese per il controllo del consiglio di amministrazione dell’Istituto Toniolo, la cassaforte dell’Università Cattolica. Ieri il Corriere della Sera, riportando una notizia già data dalla Stampa settimane fa, ha scritto del “pressing” del cardinale Segretario di stato Tarcisio Bertone (nella foto con Benedetto XVI) per avere prima dell’insediamento a Milano di Angelo Scola, a settembre, le dimissioni dell’attuale presidente del Cda del Toniolo, il card. Dionigi Tettamanzi, così da portare alla conduzione della cassaforte della Cattolica il giurista Giovanni Maria Flick. Ma l’operazione potrebbe essere più ampia e riguardare proprio il ruolo di Nicora: sgravato della responsabilità dell’Apsa – al suo posto un uomo di fiducia di Bertone, ovvero Domenico Calcagno –, il porporato avrebbe tempo non solo per supervisionare le finanze della Santa Sede, ma anche per creare una sorta di commissione che arrivi in breve tempo a cambiare gli statuti del Toniolo e della Cattolica nei quali oggi non si trova traccia di un rapporto di dipendenza rispetto alla Santa Sede: il Toniolo è una persona giuridica di diritto privato. Tettamanzi in questi mesi non ha ceduto al pressing di Bertone, forte anche dei conti del Toniolo che dicono di una gestione virtuosa che ha portato nel 2010 l’istituto a sostenere 1.072 borse di studio con finanziamenti per un importo complessivo di 1 milione e 767 mila euro. Non è stato facile per lui. Sullo sfondo aleggiano vicende non chiare, come la falsa velina che calunniò l’allora direttore di Avvenire, oggi direttore di Tv2000 e membro del Cda del Toniolo, Dino Boffo, il quale ieri ha detto la sua: “La logica delle lotte di potere mi sembra avulsa dal pontificato. Mi auguro che le indiscrezioni siano smentite”. Che sia anche il Corriere a svelare il pressing di Bertone sul Toniolo resta significativo. In questi giorni il Vaticano sta giocando una partita non facile su un altro tavolo, quello del consiglio della Fondazione Monte Tabor che governa il colosso milanese del San Raffaele di Milano, indebitato per circa un miliardo di euro. Bertone è a un passo dal portare i suoi uomini di fiducia nel San Raffaele. Nel consiglio del Monte Tabor sono pronti a sedersi il presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma Giuseppe Profiti, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, l’imprenditore Vittorio Malacalza e il giurista Giovanni Maria Flick. Mentre in uscita c’è Giuseppe Rotelli, che tra le altre cose fa parte del Cda di Rcs. Di certo c’è un fatto. I nuovi arrivi potrebbero destabilizzare antichi equilibri e provocare malumori. Molti di questi anche in seno alla Chiesa: il San Raffaele non è mai stata un’istituzione “cattolica”, volutamente l’aggettivo non compare da nessuna parte, la fondazione che lo regge è laica e non ha mai avuto alcun rapporto formale con le istituzioni ecclesiali. Gli scopi dichiarati da don Luigi Verzé sono sempre stati la guarigione, il miglioramento della vita, perfino il sogno dell’immortalità. Il tutto anche a costo, negli ultimi anni, di mettere in campo qualche idea bioetica non proprio ortodossa. E’ in questa istituzione che il Vaticano vuole mettere piede. L’8 luglio, il giorno del prossimo cda del Monte Tabor dove tutto verrà ufficializzato, è vicino. Il nuovo San Raffaele potrebbe essere presto una realtà.
Paolo Rodari, Il Foglio