Come e perché la Santa Sede ha deciso di scendere in campo contro la pièce teatrale di Romeo Castellucci? Si è trattato di una scelta voluta e programmata? E in che modo il Papa e i vertici della Segreteria di Stato sono stati coinvolti? Sono domande alle quali non è stata data risposta, dopo l’avvenuta pubblicazione online, la scorsa settimana, di una lettera della Segreteria di Stato al padre domenicano Giovanni Cavalcoli, in risposta a una missiva da lui inviata al Pontefice l’8 gennaio. Cavalcoli nella sua lettera definiva "indegno e blasfemo" lo spettacolo, un’opera "gravemente offensiva della persona del nostro Divin Salvatore Gesù Cristo". Le parole della lettera della Segreteria di Stato sono state presentate come un pronunciamento ufficiale della Santa Sede sullo spettacolo e fatte risalire direttamente al Papa. In realtà, confermano a Vatican Insider diverse autorevoli fonti vaticane, quella a padre Cavalcoli era una risposta di routine, scritta dagli uffici senza coinvolgere l’entourage papale: non soltanto non è stato investito della questione direttamente Benedetto XVI, ma nemmeno il Segretario di Stato Tarcisio Bertone o il Sostituto Giovanni Angelo Becciu. Le prime righe della lettera riferite alla pièce teatrale "che risulta offensiva nei confronti del Signore nostro Gesù Cristo" altro non erano che il riecheggiare, sunteggiato dall’officiale incaricato della risposta, delle parole scritte dallo stesso Cavalcoli. Non l’espressione di un giudizio meditato da parte della Santa Sede. Allo stesso modo, il pensiero attribuito al Papa, con l’auspicio che "ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi" possa trovare una "reazione ferma e composta", rappresentava un riferimento generico con il quale non si intendeva far pronunciare Benedetto XVI nel merito di questo specifico spettacolo. La Santa Sede aveva tutti gli strumenti per pronunciarsi, ma la consegna era sempre stata quella di lasciare ai vescovi eventuali iniziative. Che cosa è accaduto allora? La pubblicazione online della lettera vaticana a Cavalcoli ha fatto notizia. In particolare, molti hanno voluto leggere tra le righe nella frase sulla reazione "ferma e composta" guidata dai vescovi un rimprovero alla Curia di Milano, che qualche giorno prima aveva pubblicato un comunicato sull’argomento. Quasi che Papa Ratzinger avesse voluto tirare le orecchie al cardinale ambrosiano per non aver reagito più duramente di fronte al previsto atto blasfemo. Così, per rispondere a chi chiedeva lumi sull’autenticità della lettera, e per evitare che le parole in essa contenute fossero interpretate come una sconfessione dell’arcivescovo di Milano, padre Federico Lombardi, in accordo con i suoi superiori, è dovuto intervenire. Il direttore della Sala Stampa vaticana si è limitato a ripetere soltanto il contenuto della lettera a Cavalcoli e poi riecheggiato i contenuti del comunicato della Curia ambrosiana. Così facendo, Lombardi ha stroncato sul nascere l’interpretazione che contrapponeva Benedetto XVI al card. Angelo Scola. L’impressione che si ricava dalla sequenza degli eventi è che il Vaticano sia stato in qualche modo "trascinato" in una vicenda sulla quale non aveva intenzione di pronunciarsi, e che si sia finito così per attribuire direttamente al Papa una stroncatura dell’opera di Castellucci. Uno spettacolo che negli anni scorsi è stato rappresentato a Roma, cioè nella città in cui Benedetto XVI è vescovo, senza suscitare nessuna polemica, com’è accaduto anche in altre città italiane. A montare il caso sono state, come si ricorderà, le polemiche francesi e le vibranti proteste pubbliche di gruppi che il vaticanista di Le Figaro, Jean-Marie Guenois ha definito "ultra-cattolici". Lo stesso padre Cavalcoli, come pure gli organizzatori del Comitato San Carlo Borromeo hanno dovuto prendere atto che le pubbliche proteste programmate sono ad alto rischio di infiltrazioni da parte di gruppi e gruppuscoli dai forti connotati ideologici.
Andrea Tornielli, Vatican Insider