martedì 7 luglio 2009

Enciclica 'Caritas in veritate'/1. La carità nella verità contro il relativismo, il mercato e l'economia, il lavoro per tutti

''Caritas in veritate'', ''Carità nella verità'': è questo il titolo scelto da Papa Benedetto XVI per la sua terza Enciclica, dedicata - come spiegato nel titolo - al tema dello ''sviluppo umano integrale nella carità e nella verità'' e rivolta ''ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici, e a tutti gli uomini di buona volonta'''. 127 pagine, 79 paragrafi corredati da 159 note a piè di pagine, quasi 30mila parole. Il titolo, come di consueto, è tratto dalle prime parole della prima frase, che infatti recita: ''La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanita' intera''. Mettendo al centro della sua riflessione il concetto di ''carità nella verità'', Papa Ratzinger ha scelto, consapevolmente, di rovesciare una famosa espressione di San Paolo, che nella lettera agli Efesini parla invece di ''veritas in caritate'': la verità, per l'Apostolo delle Genti, va letta nel quadro e 'a servizio' di quella che carità che ''non avrà mai fine'' ed è la ''più grande'' delle virtù e delle capacità del cristiano. Papa Ratzinger - come spiega egli stesso nei primi paragrafi - ha preferito invece mettere l'accento sulla ''verità'' da esprimere nella carità perchè ''consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione''. ''La carità - spiega - va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità'', contribuendo così ad ''accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale'': un risultato, commenta il Pontefice, ''di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio''. ''Senza verità - mette ancora in guardia -, la carità scivola nel sentimentalismo'' e ''l'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente''. In ''una cultura senza verità'', l'amore è' infatti fatalmente ''preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario''. Invece, per il Pontefice, ''la verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale''. Anche nella sfera globale, spiega il Papa, ''un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali''; senza ''un vero e proprio posto per Dio nel mondo'', ''senza la verità - denuncia -, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni''. Non a caso, il Pontefice ripete qui la sua condanna dell'''attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero''. Contro queste tendenze, conclude, ''vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale''.
Il mercato, se ridotto alla mera logica del ''profitto'' e dello scambio in vista di un guadagno, ''non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare'' e ''non può risolvere tutti i problemi sociali''; per questo, l'attività economica deve aprirsi anche all'apporto di altri di soggetti e di altre 'logiche', a cominciare da quella della ''gratuità'' e del ''dono'' propria del messaggio cristiano, senza dimenticare l'importanza di ''leggi giuste'' e di ''forme di ridistribuzione guidate dalla politica'' e assicurate dagli Stati. Questa la concezione del mercato e dell'economia esposta da Papa Benedetto XVI nella parte centrale dell'Enciclica. Il Pontefice chiarisce che la Chiesa non è, di principio, contraria al mercato e all'''agire economico'' e di non condividere ''la visione di quanti pensano che l'economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio''. ''La Chiesa - chiarisce Papa Ratzinger - ritiene da sempre che l'agire economico non sia da considerare antisociale'' e, anzi, ''la società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest'ultimo comportasse 'ipso facto' la morte dei rapporti autenticamente umani''. Allo stesso modo, però, il Papa ammonisce che ''l'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile'' e non a caso ''la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l'importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato''. Per promuovere la ''emancipazione'' dell'uomo, e soprattutto dei poveri, l'economia ''deve attingere energie morali da altri soggetti che sono capaci di generarle''. Tra questi, naturalmente, Benedetto XVI mette in primo piano il messaggio cristiano, e la sua 'logica' del ''dono'' e della ''gratuità'' che ''come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica'', non solo alla luce dell'attuale crisi mondiale ma anche per ''un'esigenza della stessa ragione economica''. Allo stesso tempo, però, non bisogna mai dimenticare le esigenze della giustizia e dell'equità, che non devono essere mai disgiunte dalla pratica economica. ''Forse un tempo era pensabile affidare dapprima all'economia la produzione di ricchezza per assegnare poi alla politica il compito di distribuirla. Oggi tutto ciò risulta piu' difficile, dato che le attività economiche non sono costrette entro limiti territoriali, mentre l'autorità dei governi continua ad essere soprattutto locale''.
Stop alla precarietà, ci sia lavoro decente per tutti
Garantire a tutti ''l'accesso al lavoro'' - e anzi a un lavoro ''decente'' -, rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e anche - a meno che non comporti reali benefici per entrambi i Paesi coinvolti - la ''delocalizzazione'' dei posti di lavoro: Papa Benedetto XVI lancia un forte appello contro la frequente ''violazione della dignità del lavoro umano'' nel mondo contemporaneo, che spesso sta alla radice della ''povertà''. La ''dignità del lavoro'', scrive infatti Papa Ratzinger, spesso viene violata ''sia perchè ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perchè vengono - prosegue il Pontefice citando Giovanni Paolo II - svalutati i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia''. ''La dignità della persona e le esigenze della giustizia - argomenta il testo dell'Enciclica - richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti''. Tutti, insomma, hanno diritto a un lavoro ''decente''. Ma cosa significa, si chiede il Papa, ''la parola 'decenza' applicata al lavoro?''. ''Significa - è la risposta - un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa''. Il Papa mette in guardia da una eccessiva ''mobilità'' e ''deregolamentazione'' del mercato del lavoro, che rischia di compromettere il ''capitale umano'' dei lavoratori: ''Quando l'incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilita' psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell'esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale''. Non a caso, è proprio ''la scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi automatici, anzichè liberare creatività''. Allo stesso modo, la "Caritas in veritate" avanza forti riserve sui processi di ''delocalizzazione'' della produzione e del lavoro. Papa Ratzinger non nega che, in linea di principio, la ''delocalizzazione, quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale''. Ma, ricorda, ''non è lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile''. Inoltre, prosegue il Pontefice, la ''delocalizzazione dell'attività produttiva può attenuare nell'imprenditore il senso di responsabilita' nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l'ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità''. Infine, questo processo ha portato ad una ''competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro'', che ha comportato però ''la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarieta' attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale''. In questo modo, ''i sistemi di sicurezza sociale possono perdere la capacita' di assolvere al loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri''. Alcune riflessioni il Papa le dedica anche al ruolo dei sindacati che, ricorda, sono ''da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa''. Il ontefice invita le organizzazioni sindacali a ''instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale'' per contrastare quei ''governi'' che, ''per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità negoziale dei sindacati stessi''. Ancora più che ai tempi della prima Enciclica sociale della Chiesa, la "Rerum novarum" di Leone XIII del 1891, è necessario oggi ''dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti''. Papa Ratzinger invita però i sindacati a rinnovarsi, ''superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria'' e riflettendo sul ''conflitto tra persona-lavoratrice e persona-consumatrice'': ''Senza dover necessariamente sposare la tesi di un avvenuto passaggio dalla centralità del lavoratore alla centralità del consumatore - scrive infatti il Papa -, sembra comunque che anche questo sia un terreno per innovative esperienze sindacali''.

Asca