giovedì 11 novembre 2010

Esortazione Apostolica 'Verbum Domini' (1). Verbum Dei: il Dio che parla, la risposta dell'uomo, l'ermeneutica biblica e il dialogo con gli ebrei

“Riscoprire la centralità della Parola di Dio” nella vita personale e della Chiesa e “l’urgenza e la bellezza” di annunciarla per la salvezza dell’umanità come “testimoni convinti e credibili del Risorto”: è questo, in sintesi, il messaggio di Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica postsinodale “Verbum Domini”, che raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dal Sinodo dei vescovi svoltosi in Vaticano nell’ottobre 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Il documento, lungo quasi 200 pagine e diviso in tre parti, che porta la firma del 30 settembre, memoria di San Girolamo, è un appassionato appello rivolto dal Papa ai pastori, ai membri della vita consacrata e ai laici a “diventare sempre più familiari con le Sacre Scritture”, non dimenticando mai “che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa” (121). “In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo – afferma il Papa - non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza” (2). Nell prima parte, "Verbum Dei", Benedetto XVI sottolinea con forza che “Dio parla e interviene nella storia a favore dell’uomo”. “La Parola di Dio, infatti non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento...Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia”. In realtà, “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!”. Per il Papa “è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana” (22-23). In questo senso è importante educare i fedeli a riconoscere “la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore” (26). Ricordando “il grande impulso” dato dal Concilio Vaticano II per la riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa (3), si ribadisce la grande venerazione per le Sacre Scritture, “pur non essendo la fede cristiana una ‘religione del Libro’: il cristianesimo è la ‘religione della Parola di Dio’, non di ‘una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente’” (7) alla cui luce “si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana” (6). Infatti, Gesù Cristo è la “Parola definitiva di Dio”: per questo “non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore”. In questo contesto occorre “aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private”, il cui ruolo “non è quello...di ‘completare’ la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica”. La rivelazione privata è “un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso” (14). Il Papa analizza lo stato attuale degli studi biblici, rilevando l’importante apporto dato “dall’esegesi storico critica” (32) ma lancia l'allarme di una "ermeneutica secolarizzata" della Bibbia e avverte che la tentazione di 'umanizzare' la Sacra Scrittura attecchisce anche all'interno della Chiesa. "La mancanza di un'ermeneutica della fede nei confronti della Scrittura - scrive il Papa nella "Verbum Domini" - non si configura poi unicamente nei termini di un'assenza; al suo posto inevitabilmente subentra un'altra ermeneutica, un'ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo questa ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in altro modo e ridurre tutto all'elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini". "Si deve inoltre segnalare - precisa il Papa - che tale dualismo produce a volte incertezza e poca solidità nel cammino formativo intellettuale anche di alcuni candidati ai ministeri ecclesiali". Per Benedetto XVI, più in generale, "da una parte, occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il quale nei confronti della Scrittura diverrebbe fautore di letture fondamentaliste. Dall'altra parte, è necessaria una ragione che indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura" (33-36). Benedetto XVI esprime, quindi, l’auspicio che nell’ambito dell’interpretazione dei testi sacri “la ricerca...possa progredire” (19) e nello stesso tempo che si possa ampliare il dialogo tra pastori, esegeti e teologi (45) nella consapevolezza che spetta al Magistero “d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa” (33). Osservando che “la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani”, il Papa ribadisce che “la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice” (40). Sarebbe "sbagliato", per il Papa, "non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici". "La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni". Il Papa scrive che, piuttosto, "si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l'acquisizione di un'adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima 'il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale'. Perciò - conclude - esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo" (42). “Agli ebrei Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: siete i "nostri ‘fratelli prediletti’ nella fede di Abramo, nostro patriarca. Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca". “Traiamo, quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura”, scrive Benedetto XVI. “E’ bene che dove se ne veda l’opportunità si creino possibilità anche pubbliche di incontro e confronto che favoriscano l’incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione anche nello studio stesso delle sacre Scritture”. “Desidero riaffermare ancora una volta - scrive - quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei” (43). “Il ‘letteralismo’ propugnato dalla lettura fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento sia del senso letterale che spirituale – scrive ancora il Papa nella "Verbum domini" – aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura, diffondendo, ad esempio, interpretazioni antiecclesiali delle Scritture stesse”. (44) Il documento sottolinea anche “la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico” (46).

Radio Vaticana, Apcom