SIR, Radio Vaticana
giovedì 11 novembre 2010
'Verbum Domini'. Mons. Ravasi: un trattato costruito come un trittico. La corretta interpretazione del testo sacro di fronte a vago allegorismo
Un “trattato” costruito “come un trittico”. Così il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Gianfranco Ravasi, ha definito questa mattina nell Sala stampa vaticana l’Esortazione Apostolica postsinodale di Benedetto XVI “Verbum Domini”, che ha come filo conduttore “quel capolavoro teologico e letterario che è il Prologo di San Giovanni” i cui versetti introducono ognuna delle tre sezioni che compongono il documento. “Tre orizzonti - ha spiegato -: la voce e il volto della Parola Dio per dire Cristo; la sua casa per dire la Chiesa; la strada per dire la missione evangelizzatrice nel mondo”. Secondo mons. Ravasi “la questione dominante” nel documento “è l’ermeneutica, ossia la corretta interpretazione del testo sacro” di fronte ai rischi di “vago allegorismo” o di “fondamentalismo” di chi “riduce la Bibbia ad un’espressione letteraria del Vicino Oriente” o di chi al contrario ne fa “una lettura esclusivamente spiritualista o, peggio, distorta”. La Bibbia è “simile” a Cristo: “come in Lui il Lògos diventa carne”, così nella Scrittura “la Parola diventa parole”. “Molto importanti – a giudizio dell’arcivescovo – le pagine” che rilanciano il concetto di Bibbia “come grande codice per le culture dell’Occidente, un’autentica stella polare senza la quale non siamo in grado di comprendere la nostra letteratura, la nostra arte e neppure il nostro ethos”. Ravasi ha confidato che moltissime lettere che riceve quotidianamente dai fedeli riguardano la giusta interpretazione delle Sacre Scritture. Domande, ha detto il prossimo cardinale, al quale bisogna rispondere evitando il pericolo di un certo dualismo: “E’ necessario evitare il pericolo del dualismo, cioè, di fare semplicemente della Bibbia un testo di letteratura dell’antico Vicino Oriente da analizzare semplicemente secondo i canoni della filologia, oppure di ridurlo soltanto a un testo che è solo 'spirito' e che richiede solo i canoni propri della teologia. E’ contemporaneamente l’una e l’altra cosa, se ne vogliamo salvaguardare l’incarnazione”. Il presule ha quindi messo l’accento sulla parola gioia che contraddistingue l’inizio e la conclusione della “Verbum Domini”. Una dimensione, ha detto, di cui abbiamo particolarmente bisogno in questo momento: “Sono giorni cupi in cui viviamo continuamente o nella polemica o nell’oscurità. La caduta dell’etica comporta la caduta anche dell’estetica, della dignità dello stile. Questo testo è un testo che si apre e si conclude con la gioia, col respiro. Abbiamo bisogno anche di questa dimensione di consolazione, di festa, persino”.