mercoledì 30 novembre 2011

Scritto poco conosciuto del card. Ratzinger del 1998: pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità, l'indissolubità non è scelta della Chiesa

Durante il viaggio di Papa Benedetto XVI in Germania lo scorso settembre, uno degli argomenti di cui si parlava e sparlava di più nei corridoi delle sale stampa era quello dei divorziati risposati. Tema scottante comunque in molte società occidentali dove la confusione tra diritto civile e diritto canonico si intreccia con una scarsa conoscenza del Magistero e del Vangelo. Interessante a questo punto la scelta della Congregazione per la Dottrina della Fede di rivedere le traduzioni di uno dei testi più chiari ed espliciti sull’argomento firmato dal card. Joseph Ratzinger nel 1998. Partiamo dalla conclusione: “Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità. Se in passato nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. 'Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi' (Gv 8,32)”. C’è già tutto dentro. Ma il testo è ben articolato è si basa su dei concetti semplici. La indissolubilità del matrimonio sacramentale non è frutto della disciplina canonica, ma è volontà esplicita del Signore. E quindi nessuno ne può disporre, nemmeno il Papa. Quello che invece compete alla Chiesa è capire e discernere quando e come si possa parlare di vero “matrimonio sacramentale” e dove invece esista un vizio tale da poter definire una unione “naturale” e non sacramantale. Il testo che L'Osservatore Romano propone nella sua interezza nell’edizione di mercoledì 30 novembre, è una parte dell’introduzione del volume “Sulla pastorale dei divorziati risposati” della collana della Congregazione per la Dottrina della Fede. Un sussidio per i pastori, che offre ai vescovi e ai sacerdoti un aiuto nella difficile questione dell’accompagnamento pastorale dei divorziati risposati. Nella introduzione Joseph Ratzinger descrive il contesto storico della pubblicazione dei documenti sul tema e riassume le principali obiezioni sollevate nei confronti della dottrina e della disciplina in merito, proponendo anche linee di risposta. La obiezione più comune è che “i cristiani in situazioni difficili avrebbero conosciuto già nel tempo apostolico un'applicazione flessibile della parola di Gesù”. Il card. Ratzinger spiega che “la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio deriva dalla fedeltà nei confronti della parola di Gesù... superamento dell'antico ordine della legge nel nuovo ordine della fede e della grazia. Solo così il matrimonio può rendere pienamente giustizia alla vocazione di Dio all'amore ed alla dignità umana e divenire segno dell'alleanza di amore incondizionato di Dio, cioè 'Sacramento'". Altra obiezione è quella legata alla prassi del “matrimonio di penitenza” nelle Chiese Ortodosse che farebbe riferimento all’interpretazione di alcuni Padri. L'allora prefetto chiarisce che: “Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell'indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito”. Inoltre “nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione dopo un tempo di penitenza”. E “sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni 'pastorali' per rari casi limite”. Occidente ed Oriente seguirono storicamente strade diverse. L’Oriente rimase legato maggiormente alle norme civili, mentre in Occidente “fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri”. L’articolo esamina anche diversi aspetti del diritto canonico con riferimenti precisi ai matrimoni tra battezzati ma non praticanti, tra un cristiano e un pagano, tra non cristiani che in un secondo matrimonio si convertono etc. Un’ampia gamma delle situazioni processuali sulla validità del matrimonio. Alla base di tutto c’è la retta comprensione del Magistero e del Concilio Vaticano II e in particolare della Gaudium et spes. “Il Concilio - si legge nel testo di Joseph Ratzinger - non ha rotto con la concezione tradizionale del matrimonio, ma l'ha sviluppata ulteriormente... Non esiste un matrimonio senza normativa giuridica, che lo inserisce in un insieme globale di società e Chiesa. Se il riordinamento del diritto dopo il Concilio tocca anche l'ambito del matrimonio, allora questo non è tradimento del Concilio, ma esecuzione del suo compito”. C’è la obiezione della “morte del matrimonio” del suo fallimento umano, la teoria della “fine dell’ amore”. Il testo del cardinale è chiaro: “Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio è morto, quando i due coniugi non si amano più, allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l'indissolubilità del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non più in modo fattuale. L'opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea. Un tale matrimonio non può essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedeltà fino alla morte”. La conclusione si sposta sul piano pastorale ed ecco l’obiezione classica della scarsa attenzione della Chiesa alle “ferite” di chi è escluso dai Sacramenti, alla difficoltà di comprendere i testi del Magistero che sembrano duri e ostici. Spetta ai pastori spiegare e chiarire, “il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata. Certamente è difficile rendere comprensibili all'uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo. Ma questa difficoltà pastorale non può condurre a compromessi con la verità”.

Angela Ambrogetti, Korazym.org

Da uno scritto poco conosciuto del card. Joseph Ratzinger pubblicato nel 1998: la pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità