"Impressiona quando quotidianì così rinomati e importanti magari pubblicano quattro-cinque pagine di gossip, e non informano la gente su questi fenomeni aberranti, così gravi".
Don Fortunato Di Noto, fondatore dell'associazione Meter impegnata contro la pedofilia, esprime ai microfoni della Radio Vaticana il suo disappunto per la scarsa attenzione dei media riguardo al fenomeno. "Non credo - spiega - che oggi la società non sappia contenere queste notizie, non sappia gestirle emotivamente, ma di certo non parlarne favorisce ancora di più la diffusione di una mentalità che quasi tende sempre più a normalizzare il fenomeno".
Il sacerdote siciliano si riferisce alla scoperta su internet del più grande archivio pedopornografico mai rinvenuto dalla Polizia postale, che ha condotto le indagini per 10 mesi, a partire dalla segnalazione di una ragazza salernitana che, scaricando dei file musicali di Edith Piaf, si è ritrovata il computer inondato da materiale raccapricciante. "Stiamo parlando - spiega don Di Noto - di un'operazione importante che ha permesso il sequestro di cinque milioni di file, con cartelle che contengono immagini di neonati violentati e si suppone forse anche uccisi".
"Allora - rileva il sacerdote - se tutto questo non ci indigna e non crea una motivazione per contrastare anche culturalmente il fenomeno, io credo che ci sia da interrogarsi". "Noi - conclude don Di Noto - dobbiamo dire che la pedofilia è un crimine: non possiamo pensare che sia un fenomeno marginale. E' veramente un fenomeno per cui i criminali si nutrono della carne e dell'innocenza dei bambini. Non riesco a capire - conclude il prete anti-pedofili - perchè di conseguenza moltissimi quotidiani poi non ne parlano: questa veramente è un'omissione di soccorso, un'omissione di informazione".
"Le persone che compiono reati contro i bambini non possono essere tutelate nella loro privacy". "Capisco - ammette - la tutela per evitare il far-west, per evitare azioni che possano arrecare ulteriore danno a chi è stato abusatore, predatore di bambini; però è anche vero che la conoscenza del nome permetterebbe due cose: uno, sarebbe un elemento deterrente perchè questi soggetti potrebbero così essere individuati e, perchè no?, la società potrebbe proteggersi da ulteriori attacchi".
Secondo don Di Noto, "forse anche per il soggetto l'essere conosciuto potrebbe diventare un deterrente per fare meno danni". "Se arriva la condanna definitiva, in terzo grado, se la condanna è definita penso - sottolinea il religioso - che non dovrebbe esserci alcun problema nell'indicare nome e cognome". "Il problema - segnala il sacerdote antipedofilia - è anche un altro: spesso si ha una condanna più pesante per chi ruba galline di quanto per chi commette questo tipo di reato". "Per fortuna - riconosce don Di Noto - con la ratifica della Convenzione di Lanzarote le cose sono un po' cambiate per quanto riguarda i livelli di prescrizione del reato: si può arrivare, dipende dalla gravità del reato commesso nei confronti dei minori, anche a 28 anni di prescrizione". "Forse - conclude don Di Noto - bisogna fare di più, forse bisogna applicarsi di più, forse bisogna che la giustizia sia più celere di quanto non lo sia oggi. Normalmente, in un processo per abuso sessuale su bambini, per avere un primo grado, possono passare anche cinque-sei anni. Figuratevi quanto può passare per avere una sentenza definitiva".
Agi