di Andrea Tornielli
Il Giornale
Quello dell’anno scorso fu caratterizzato dalle polemiche roventi e dalle porte chiuse alla Sapienza. Quello del 2009 è un gennaio altrettanto «caldo» per Papa Ratzinger. Innanzitutto per il moltiplicarsi dei segnali negativi dal mondo ebraico, ancor più dolorosi per Benedetto XVI, che ha riflettuto e scritto sullo speciale legame che unisce ebrei e cristiani. Prima c’è stata la decisione dei rabbini italiani di non partecipare alla giornata dell’ebraismo promossa dalla Chiesa italiana, a motivo della preghiera del Venerdì Santo presente nel rito antico della Messa, che il Pontefice ha liberalizzato con il Motu Proprio nel 2007.
Proprio ieri sera, celebrando i Vespri a conclusione della Settimana per l’unità dei cristiani, il Papa ha detto che quello di San Paolo «non fu un passaggio dall’immoralità alla moralità, da una fede sbagliata a una fede corretta, ma fu l’essere conquistato dall’amore di Cristo». Eppure il rabbino di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha scritto che con Ratzinger il dialogo ebraico-cristiano è tornato indietro di cinquant’anni. Polemica che sembra non tener conto di due fatti: la preghiera del Venerdì santo nel messale antico del 1962 conteneva un riferimento all’«accecamento» del popolo ebraico (tratto letteralmente peraltro da un testo di San Paolo), ma Benedetto XVI l’ha corretta proprio per venire incontro a una richiesta in questo senso presentata dai rabbini di Gerusalemme. Nella nuova versione, scritta dallo stesso Pontefice, si prega per gli ebrei affinché «Dio Nostro Signore illumini il loro cuore, affinché riconoscano Gesù Cristo». Molte le reazioni indignate, soprattutto in Italia. Peccato però che queste stesse espressioni si trovino ripetute in varie pagine del breviario postconciliare. Nessuno le aveva contestate.
Un altro fronte è quello che si aperto con la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Un atto che prelude al raggiungimento della piena unità, non la crea. Sono state infatti rilanciate delle deliranti affermazioni negazioniste sulla Shoah di uno dei quattro presuli, Richard Williamson, lasciando intendere che la revoca della scomunica significasse un’attenuazione del chiaro giudizio della Chiesa sull’Olocausto, se non una sua revisione. Niente di più falso, come è stato del resto autorevolmente spiegato: Benedetto XVI ha parlato più volte contro l’antisemitismo, e molto chiaramente, nella linea del suo predecessore Giovanni Paolo II. Nonostante le polemiche, il Papa intende compiere il pellegrinaggio in Terrasanta, e dunque in Israele e nei Territori sottoposti all’autorità palestinese, guerra permettendo. Da notare poi che parte del mondo ebraico, soprattutto fuori dall’Italia, non condivide le continue critiche rivolte alla Chiesa e al Pontefice, soprattutto in questo delicato frangente storico.
Papa Ratzinger si trova poi a fronteggiare anche le cosiddette «emergenze etiche». Non c’è solo in Italia la «via crucis» di Eluana Englaro, ma - dopo l’elezione di Barack Obama - ci sono anche le decisioni del neopresidente americano di rifinanziare le organizzazioni non governative abortiste che si occupano di pianificazione familiare nei Paesi poveri. In un momento di grave crisi economica, spiegano i collaboratori del Pontefice, si sperava che il nuovo presidente usasse le risorse in favore di chi ha più bisogno, non per finanziare l’aborto. Ma sarebbe un errore considerare quella vaticana come una «guerra preventiva» nei confronti del primo afroamericano alla Casa Bianca. Se sui temi etici le tensioni sono destinate ad aumentare (ed era previsto), sullo scacchiere internazionale sono possibili, invece, maggiori convergenze. Un approccio multilaterale, un dialogo con l’Islam che rifiuta il terrore, un ruolo più attivo nel tentare una soluzione al conflitto israelo-palestinese, sono motivi di consonanza. Proprio al mutato atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del mondo islamico guarda la Santa sede, nella speranza che i musulmani - anche quelli in Europa - si sentano meno nel mirino. E al tempo stesso il Vaticano auspica che esistano pure minori giustificazioni nei confronti dei violenti e di chi semina odio: ha preoccupato, nei Sacri Palazzi, il fenomeno delle manifestazioni con le bandiere di Israele bruciate, culminate con la preghiera non causale davanti alle cattedrali, a Milano e a Bologna.
Proprio ieri sera, celebrando i Vespri a conclusione della Settimana per l’unità dei cristiani, il Papa ha detto che quello di San Paolo «non fu un passaggio dall’immoralità alla moralità, da una fede sbagliata a una fede corretta, ma fu l’essere conquistato dall’amore di Cristo». Eppure il rabbino di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha scritto che con Ratzinger il dialogo ebraico-cristiano è tornato indietro di cinquant’anni. Polemica che sembra non tener conto di due fatti: la preghiera del Venerdì santo nel messale antico del 1962 conteneva un riferimento all’«accecamento» del popolo ebraico (tratto letteralmente peraltro da un testo di San Paolo), ma Benedetto XVI l’ha corretta proprio per venire incontro a una richiesta in questo senso presentata dai rabbini di Gerusalemme. Nella nuova versione, scritta dallo stesso Pontefice, si prega per gli ebrei affinché «Dio Nostro Signore illumini il loro cuore, affinché riconoscano Gesù Cristo». Molte le reazioni indignate, soprattutto in Italia. Peccato però che queste stesse espressioni si trovino ripetute in varie pagine del breviario postconciliare. Nessuno le aveva contestate.
Un altro fronte è quello che si aperto con la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Un atto che prelude al raggiungimento della piena unità, non la crea. Sono state infatti rilanciate delle deliranti affermazioni negazioniste sulla Shoah di uno dei quattro presuli, Richard Williamson, lasciando intendere che la revoca della scomunica significasse un’attenuazione del chiaro giudizio della Chiesa sull’Olocausto, se non una sua revisione. Niente di più falso, come è stato del resto autorevolmente spiegato: Benedetto XVI ha parlato più volte contro l’antisemitismo, e molto chiaramente, nella linea del suo predecessore Giovanni Paolo II. Nonostante le polemiche, il Papa intende compiere il pellegrinaggio in Terrasanta, e dunque in Israele e nei Territori sottoposti all’autorità palestinese, guerra permettendo. Da notare poi che parte del mondo ebraico, soprattutto fuori dall’Italia, non condivide le continue critiche rivolte alla Chiesa e al Pontefice, soprattutto in questo delicato frangente storico.
Papa Ratzinger si trova poi a fronteggiare anche le cosiddette «emergenze etiche». Non c’è solo in Italia la «via crucis» di Eluana Englaro, ma - dopo l’elezione di Barack Obama - ci sono anche le decisioni del neopresidente americano di rifinanziare le organizzazioni non governative abortiste che si occupano di pianificazione familiare nei Paesi poveri. In un momento di grave crisi economica, spiegano i collaboratori del Pontefice, si sperava che il nuovo presidente usasse le risorse in favore di chi ha più bisogno, non per finanziare l’aborto. Ma sarebbe un errore considerare quella vaticana come una «guerra preventiva» nei confronti del primo afroamericano alla Casa Bianca. Se sui temi etici le tensioni sono destinate ad aumentare (ed era previsto), sullo scacchiere internazionale sono possibili, invece, maggiori convergenze. Un approccio multilaterale, un dialogo con l’Islam che rifiuta il terrore, un ruolo più attivo nel tentare una soluzione al conflitto israelo-palestinese, sono motivi di consonanza. Proprio al mutato atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del mondo islamico guarda la Santa sede, nella speranza che i musulmani - anche quelli in Europa - si sentano meno nel mirino. E al tempo stesso il Vaticano auspica che esistano pure minori giustificazioni nei confronti dei violenti e di chi semina odio: ha preoccupato, nei Sacri Palazzi, il fenomeno delle manifestazioni con le bandiere di Israele bruciate, culminate con la preghiera non causale davanti alle cattedrali, a Milano e a Bologna.