venerdì 6 gennaio 2012

Ritornare al diritto, riguardare alla fede: la linea di Benedetto XVI nel decidere le 22 nomine cardinalizie. Un profilo dei nuovi cardinali

“La persona umana è l’essenza del diritto”. Le parole di Antonio Rosmini furono citate da Benedetto XVI in occasione del 25° anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico. “Lo Ius Ecclesiae – proseguiva il Papa – non è solo un insieme di norme prodotte dal Legislatore ecclesiale. È in primo luogo la dichiarazione autorevole dei doveri e dei diritti che si fondano nei sacramenti e che sono quindi nati dall’istituzione di Cristo stesso”. Parole che, prima di Benedetto XVI, erano state pronunciate quasi con gli stessi termini da Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio dei Testi Legislativi. Coccopalmerio, dal prossimo 18 febbraio, sarà cardinale. E la sua nomina è un segnale: il diritto, per Benedetto XVI, è importantissimo. Di più: vuole che la Chiesa ritorni a guardare al Diritto Canonico. Il Papa lo aveva detto nella Lettera alla Chiesa d’Irlanda scossa tra gli abusi che “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”. Ritornare al diritto, riguardare alla fede. E’ questa la linea che Benedetto XVI ha seguito nel decidere le 22 nomine cardinalizie del Concistoro del prossimo 18 febbraio. Con una decisione irrituale, lo ha comunicato un po’ prima del canonico mese di anticipo. Alcune nomine erano scontate, d’ufficio. Altre meno. Ma segnalano un Collegio cardinalizio in movimento. E per la prima volta composto in maggioranza da nomine ratzingeriane. E’ sempre su questa linea che viene imposta la berretta rossa anche a Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Coniglio per i Migranti. La Santa Sede è di recente entrata come Stato membro nell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, e fare Vegliò cardinale dà il segnale del peso che si vuole dare all’argomento. Vegliò, diplomatico di professione, ma con solida formazione giuridica, sarà una presenza importante e avrà un peso nelle rappresentanze diplomatiche della Santa Sede. Rappresentanze che punteranno sempre più sul diritto internazionale, piuttosto che sulla diplomazia. Sarà cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti Religiosi. Focolarino, ottimo terzino sinistro quando era giovane, miracolato (vive con 130 pallini di piombo disseminati per il corpo, ricevuti in uno scontro a fuoco in cui si era trovato per caso in mezzo), quando era arcivescovo di Brasilia ha dato grande spazio ai movimenti. Diceva loro: “Se voi dei carismi più grandi mortificate e annullate i carismi più piccoli perché avete come solo criterio quello di allargarvi e di prendere più spazio, questo non è da Dio”. Ora si trova a dover riconquistare la figura dei religiosi, e allo stesso tempo andare avanti con le ispezioni ai religiosi, in particolare negli Stati Uniti. Riguardo la Teologia della Liberazione, ricorda che “alcuni gruppi a quel tempo più spinti su quella linea si sono trasformati in Ong con molti soldi, uscendo dalla Chiesa. Dicevano di voler cambiare la Chiesa, poi la fede è venuta meno, ed è rimasta la sociologia. Eppure rimango convinto che in quella vicenda è passato comunque qualcosa di grande per tutta la Chiesa”. Poi, ci sono le nomine scontate: Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, fino allo scorso anno sostituto alla Segreteria di Stato; Domenico Calcagno, presidente dell’APSA, amatissimo nella diocesi di Savona, dove è stato vescovo; Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, che Bertone avrebbe voluto arcivescovo di Torino; Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; e poi ancora, lo statunitense Edwin F. O’Brien, Pro-gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro, e lo spagnolo Santos Abril y Castello, la cui nomina ad arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore è stata considerata un segnale lanciato al card. Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, che da Segretario di Stato ebbe con lui dei dissapori per il suo operato in Argentina. E poi, Monteiro de Castro, appena ieri nominato Penitenziere Apostolico, che come nunzio in Spagna si è fatto valere trattando con il governo Zapatero, in particolare per quanto riguardava la spinosa questione del finanziamento alla Chiesa Cattolica, in discussione dopo il Family Day spagnolo che poco era piaciuto ai socialisti di Spagna. Non c’è, invece, Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Fuori dall’Europa, si guarda in Cina. Il card. Joseph Zen, vescovo di Hong Kong, un eroe per la sua opposizione al regime cinese (pochi giorni fa il suo ultimo sciopero della fame, per protestare contro il governo che aveva rifiutato il ricorso della Chiesa contro una legge sugli aiuti di Stato alle Chiesa che ha “seriamente danneggiato le Chiese cattoliche") e molto ascoltato in Vaticano (il Papa gli ha affidato le preghiere della Via Crucis del 2008) farà presto 80 anni. Prenderà il suo posto John Tong Hon, subentrato a Zen come arcivescovo di Hong Kong. Una nomina “più diplomatica”, dicono gli osservatori. Nonostante gli ultimi scontri, la linea di Benedetto XVI è quella di un dialogo con il governo cinese e l’Associazione Patriottica, la “Chiesa ufficiale” di Cina, i cui vescovi sono nominati dal governo. Che la berretta rossa a Tong vada in questa direzione è testimoniata da un fatto. Nel 1985, a Shanghai, Jin Luxian fu messo sotto pressione per accettare una ordinazione illecita a vescovo ausiliare di Shanghai da parte delle autorità cinesi. In pochi dentro e fuori Shanghai credevano che sarebbe stato possibile per Jin rimanere cattolico se avesse accettato l’ordinazione. Ma allo stesso tempo, Jin temeva che se non avesse accettato, non solo il seminario di Shanghai sarebbe stato messo a rischio, ma il suo rifiuto avrebbe aperto a qualcuno più accomodante nei confronti del governo. Così accettò, sperando in un appoggio da Roma. E l’appoggio arrivò: John Tong (allora religioso) e Laurence Murphy, quest’ultimo intermediare informale e consulente del Vaticano negli Affari Cinesi, parteciparono all’ordinazione, con il tacito consenso di Giovanni Paolo II. Altri nomi: Rainer Maria Woelki, nuovo arcivescovo di Berlino, Thomas J. Collins (Toronto), Willem Eijk (Utrecht), Timothy Dolan (New York), George Alencherry (arcivecovo Ernakulam‑Angamaly dei Siro-Malabaresi, India), Dominik Duka (Praga). E poi Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Salta un altro turno invece Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. Mentre non c’è, tra i nominati, il futuro Patriarca di Venezia. O sarà già un cardinale, o dovrà aspettare il prossimo Concistoro. Nota a margine, ma molto importante: sono quattro i cardinali non elettori, e tre di questi sono studiosi. Prosper Grech, consultore della Congregazione della Dottrina della Fede, esperto di Vangeli apocrifi (sue alcune consulenze a Benedetto XVI sul prossimo volume su Gesù, che sarà dedicato ai Vangeli dell'Infanzia), che ha recentemente pubblicato con la Libreria Editrice Vaticana "Signore insegnaci a pregare"; Joseph Becker, teologo dogmatico, professore della Gregoriana, Julien Reis, 91 anni tutti dedicati allo studio dell'homo religiosus. L'ultimo non elettore è Lucien Muresan, arcivescovo maggiore di Făgăraş e Alba Iulia dei Romeni (Romania).

Andrea Gagliarducci, Korazym.org