sabato 10 marzo 2012

Rowan Williams: è richiesta l'abitudine al discernimento, la penetrazione al di là dei pregiudizi e dei luoghi comuni che colpiscono anche i credenti

Nella sua omelia della celebrazione dei Vespri nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, insieme a Papa Benedetto XVI, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ha parlato di umiltà. Coloro che sono chiamati a guidare la Chiesa “conoscono chiaramente la loro debolezza interiore e la loro instabilità”. Ma è proprio questa consapevolezza la loro forza e la loro grandezza. “L'umiltà – ha proseguito Williams - è la chiave di tutto il ministero, un'umiltà che cerca costantemente di essere immerso, coinvolto, nella vita del Corpo di Cristo, e non nella ricerca di un eroismo o di una santità individuali”. Questa umiltà che è “a capo della lista delle virtù sante”, è legata al dono della profezia. “Il vero pastore e leader nella Chiesa – ha affermato Williams - è colui che, in quanto è preso nell’eterna donazione di se stesso a Gesù Cristo attraverso i misteri sacramentali della Chiesa, è libero di vedere i bisogni degli altri per quelli che realmente sono”. C’è poi un’altra virtù che emerge dal monachesimo di San Gregorio: ed è la perfetta e inseparabile armonia tra azione e contemplazione, solitudine e vita comunitaria. Senza la contemplazione – ha detto Williams – “saremmo costantemente in lotta con le ombre e le finzioni, non con la realtà del mondo in cui viviamo”. Alla Chiesa è richiesta “la capacità di vedere” e cioè “l'abitudine al discernimento, la penetrazione al di là dei pregiudizi e dei luoghi comuni che colpiscono anche i credenti in una cultura che è così affrettata e superficiale in tanti dei suoi giudizi”. È in questo discernimento che si acquisisca anche “l’abitudine di riconoscerci gli uni e gli altri come agenti della grazia, della compassione e della redenzione di Cristo”. Ed ha concluso definendo la comunione tra la Chiesa Cattolica e anglicana “certa e tuttavia imperfetta”. “Certa”, per “la condivisa visione della Chiesa”. Imperfetta, a causa “del limite della nostra visione, e della mancanza di profondità della nostra speranza e pazienza”. “Oggi, mentre rendiamo grazie per un millennio di testimonianza monastica”, “preghiamo per tutti coloro che sono chiamati al servizio pubblico nella Chiesa di Cristo perché possano avere la grazia della contemplazione e la chiarezza profetica nella propria testimonianza, in modo che la gloria della croce di Cristo risplenda nel nostro mondo, anche tra le nostre debolezze e i nostri fallimenti”.

SIR

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY