I Messaggi per la pace costituiscono una delle recenti tradizioni più feconde della Chiesa Cattolica: più lunghi di un comunicato stampa e più snelli di un’Enciclica, in poche pagine condensano una riflessione profonda, di facile lettura per tutti, che negli anni ha guidato la riflessione internazionale, non solo cattolica, sul tema della pace e dello sviluppo.
Orientati esplicitamente da Paolo VI a guardare all’uomo nella sua integralità e alla pace nella sua complessità, secondo la formula “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, che il grande Papa introdusse in quella attualissima pietra miliare del Magistero che è la “Populorum Progressio”, i messaggi sono stati utilizzati da Giovanni Paolo II per affrontare i conflitti più spinosi durante il suo lungo papato, regalandoci quel “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono” con cui intitolava il Messaggio del 2002. Benedetto XVI prosegue la tradizione tornando oggi a echi montiniani che guardano all’economia e alla distribuzione delle risorse tra le cause delle inaccettabili ingiustizie sociali che minano la pace.
“La pace concerne l’integrità della persona umana e implica il coinvolgimento di tutto l’uomo”, ricorda il Papa. Dunque, occorre che tutti siano coinvolti in quell’esercizio dei doveri di responsabilità che diviene tutela per tutti dei diritti fondamentali. Da questo insegnamento della “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII, di cui ricorre nel 2013 il 50° anniversario, Benedetto XVI sviluppa il Messaggio di quest’anno: “Beati gli operatori di pace”. L’uomo, immagine di Dio, “è fatto per la pace” e questa si costruisce nelle relazioni che coinvolgono l’integralità della persona umana. Per questo una cultura di pace non deve dimenticare le situazioni in cui la persona è nella condizione della sua massima vulnerabilità, la vita nascente e quella morente; per questo non è possibile parlare di pace senza considerare ciò che rende vulnerabile e faticosa la vita nella sua fase in cui dovrebbe essere viceversa più facile, quella della vita adulta. Oggi un numero sconvolgente di persone, infatti, vive la condizione faticosa della miseria e milioni soffrono le difficoltà della crisi economica anche nei Paesi “ricchi” che sembrano disorientati e incapaci di garantire a tutti lo stesso accesso al benessere.
“L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici”. Il linguaggio è esplicito e non ammette equivoci. Poche righe dopo si afferma che “tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro”, e si ricorda che tra le priorità mondiali oggi c’è “la crisi alimentare” causata dalle disfunzioni - leggi dagli oligopoli e dalla mancanza di regole - dei mercati delle materie prime, che da un lato ostacolano l’accesso al cibo ai più poveri e dall’altro impediscono sviluppo dignitoso ai contadini delle zone più povere e alle loro comunità. Anche qui il Papa è esplicito: occorre una “ristrutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali”.
La considerazione più esigente del Messaggio è quella relativa alla necessità di “un nuovo modello economico: quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva invece il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità”.
Il Papa conclude con l’invito a un’azione educativa, a una “pedagogia della pace” che dalla famiglia alle istituzioni sappia costruire e vivere una cultura della pace con queste attenzioni, capace di “stili di vita adeguati” e di “dire no alla vendetta, riconoscere i propri torti e accettare le scuse senza cercarle, e infine perdonare”, come aveva detto lo stesso Benedetto XVI poche settimane fa in Libano riguardo le tensioni in Medio Oriente. Infine, ripetendo la promessa evangelica “beati gli operatori di pace”, ricorda che “Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli”.
Quello del 2013 è un Messaggio che dà solidarietà a chi è vittima delle ingiustizie e speranza a chi, spesso irriso dai centri di potere, opera per ridurle. È un notevole augurio di pace. Chiama tutti, senza sconti, alla responsabilità.
Riccardo Moro, SIR
Riccardo Moro, SIR