giovedì 25 ottobre 2012

Anno della fede Il punto centrale: la novità radicale della risurrezione di Cristo. Joseph Ratzinger: il Gesù pasquale è la nostra certezza che la storia può essere vissuta in modo positivo e che la nostra attività razionale limitata e debole ha un significato

Nella sua Lettera Apostolica "Porta fidei", con la quale ha indetto l’Anno della fede, nel cinquantesimo anniversario dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI pone particolarmente l’enfasi sulla “novità” radicale della risurrezione di Cristo, cuore della fede cristiana. Viene in mente la straordinaria sintesi di Sant’Ireneo: "Omnem novitatem attulit, semetipsum afferens", ossia "Cristo, nella sua venuta, ha portato con sé tutta la novità". La novità della risurrezione di Cristo ha come frutto immediato la trasformazione dei discepoli timorosi nella nuova comunità che è la Chiesa, il corpo del Risorto. In questa nuova comunità, che vive di una nuova speranza data dalla risurrezione di Cristo, i singoli membri vengono sempre più conformati al mistero pasquale di Cristo, e da qui trasformati nel loro modo di vivere e di pensare. San Paolo esorta così la comunità cristiana di Roma: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente" (Romani 12, 2). La novità della risurrezione dischiude un nuovo orizzonte al pensiero, non solo per il discernimento, da parte degli individui, della volontà di Dio per la loro vita, ma anche per il discernimento della natura stessa della realtà. Quest’ultimo è il compito dei teologi nella Chiesa ma anche di tutti i battezzati chiamati a "rispondere della speranza" che è in noi (1 Pietro 3, 15). La risurrezione di Cristo, pertanto, rivela il nostro destino individuale e collettivo, ma anche la natura stessa dell’universo nel quale viviamo. Come scrive Joseph Ratzinger in "Escatologia. Morte e vita eterna": "Il Gesù pasquale è la nostra certezza che la storia può essere vissuta in modo positivo e che la nostra attività razionale limitata e debole ha un significato". I teologi parlano della "priorità epistemica" di Cristo, che "è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Colossesi 1, 17). I cristiani, quindi, sono chiamati a una conversione non solo religiosa e morale, ma anche intellettuale. Tutto il nostro pensiero trae orientamento dal mistero pasquale di Cristo. Questa convinzione della priorità epistemica di Cristo non sostituisce il lavoro legittimo e autonomo degli scienziati, degli economisti e degli artisti; tuttavia gli dà un orientamento che ispira speranza e il suo significato ultimo. Rivela che la realtà si fonda sul dono creativo del Dio tripersonale e che il fine della creazione è il conseguimento della comunione amorevole delle persone. I canti conclusivi del Paradiso di Dante esprimono in modo insuperabile questa convinzione: il centro stesso della realtà è "l’amor che move il sole e l’altre stelle". Pur non sostituendo il lavoro degli scienziati, degli economisti e degli artisti, la visione cristiana della realtà contrasta ogni tendenza a una lettura riduttiva di ciò che è reale. Sfida gli scienziati a non limitare la realtà a ciò che può comprendere una visione del mondo meramente materialistica. Sfida gli economisti a incorporare nelle loro analisi il bene comune delle persone. Sfida i cittadini delle democrazie occidentali a non arrendersi a un secolarismo unidimensionale. Un’altra implicazione di questa priorità del mistero pasquale di Cristo è che, sebbene non possa essere ridotto alla proclamazione e alla catechesi, il lavoro della teologia è inscindibile da esse. Se la teologia, secondo la venerabile espressione di Sant’Anselmo, è "la fede che cerca di capire", allora il contenuto di tale fede è la Buona Novella di Cristo risorto proclamata dalla Chiesa, celebrata nella sua liturgia ed esposta nella sua catechesi. Separata dalla proclamazione e dalla catechesi, la teologia rischia di costruire sulle sabbie mobili dello spirito del tempo (Zeitgeist) contemporaneo.
 
Robert Imbelli, L'Osservatore Romano